giovedì 17 maggio 2012

Io e la lettura


Ultime notizie dalla Francia…
1) Per fortuna non è caduto l’aereo di Hollande in viaggio per Berlino…
2) In linea con il programma di rassodamento ho fatto altri bagni dalla durata di 30 secondi l’uno.
3) Sono abbronzata ma in faccia mi sono un po’ sbruciacchiata e spelata, e non sono proprio un bello spettacolo.
4) Domani torniamo e devo dire che siamo stati proprio bene!

L’ultimo post dalla Francia lo dedicherò a una mia grande passione: la lettura. L’amore per la lettura lo devo interamente ai miei genitori. Mio papà ha letto con me L’isola del tesoro, I misteri della giungla nera, e soprattutto Michele Strogoff.  Michele Strogoff è divenuto presto il mio eroe e il mio uomo preferito in tutti i miei sogni da bambina (ho molto invidiato la sua amata, Nadia, in omaggio alla quale, sperando fosse altrettanto fortunata, avevo deciso di chiamare così una eventuale figlia).
Mia mamma, dal canto suo, ha letto con me Piccole donne, La piccola principessa e un libro meno noto ma a me molto caro, Otto giorni in una soffitta. Otto giorni in una soffitta parla di una bambina che per sfuggire alle angherie di qualche matrigna (almeno credo) scappa dai tetti e penetra nella soffitta di un’abitazione nella quale vivono non mi ricordo quanti fratelli. Questi fratelli la nascondono e si fanno in quattro per lei: le portano il cibo, i giocattoli, la riempiono di attenzioni e poi va a finire che la famiglia la adotta. La scena più bella è quando lei, non paga di cotanto interesse, è triste perché vorrebbe uscire e così i fratelli si organizzano, la vestono da maschietto e la portano a giocare a nascondino. Ora, io farei notare l’inverosimiglianza di questo romanzo: qualunque altro maschio sano e dotato di attributi avrebbe commentato: «Ohi, bellina, già ti nascondiamo qui e ti portiamo da mangiare, per cui ora te ne stai buona e non rompi con questa richiesta da viziatella di uscire fuori in giardino». In ogni caso la bambina di Otto giorni in una soffitta credo mi abbia segnato per sempre: mi sembrava una privilegiata, così coccolata ed amata da tutta questa schiera di uomini, e al tempo stesso un mito, perché mi sono sempre domandata come fosse riuscita a ottenere tanto e tale interessamento.

Oggi divoro più o meno un romanzo a settimana, e cerco di impegnarmi per trovare qualcosa che valga la pena leggere. Le mie fonti sono «La Repubblica» (perché la domenica c’è una bella paginetta dedicata alle recensioni dei libri) e «Il venerdì» (sempre per la stessa ragione). L’altra mia fonte è la mia amica C., anch’essa grande lettrice, a cui va il merito di avermi fatto conoscere, tra gli altri, il Cameron di Quella sera dorata e Un giorno questo dolore ti sarà utile. Devo dire che anche con il mio amico M. abbiamo avuto scambi di lettura molto interessante. Quando lavoravamo insieme, abbiamo colmato alcune lacune, comprandoci contemporaneamente (nel periodo in cui gli Adelphi erano scontati) Jules e Jim e Flatlandia. E inoltre come scordare quei tre mesi in cui eravamo in fissa con Vincenzo Malinconico, indimenticabile protagonista di Non avevo capito niente.

Tutto questo proemio per dirvi che ho da un paio di giorni finito Molto forte, incredibilmente vicino, e avevo promesso di scrivere qualcosa. Il piccolo Oskar ha perso il padre l’11 settembre ma pochi giorni dopo la tragedia, rovistando nell’armadio di famiglia, trova una misteriosa chiave chiusa in una busta con suscritto “Black” . Quella chiave, quella parola, quel mistero, sono l’unico modo che ha Oskar per mantenere un legame con il padre scomparso e così comincerà un viaggio per le strade e per le case di New York, bussando a tutte le porte dei Mr e Mrs Black della città. Ma la storia di Oskar non è solo la storia di un bambino che adopera la fantasia per elaborare un lutto; è la storia di una madre, che in qualche modo deve ricostruirsi una vita, è la storia di una nonna, anch’essa prigioniera di un dolore lontano e di un amore smarrito, è la storia di un nonno, che ha perso se stesso molti anni prima e non è mai stato in grado di ritrovarsi. È la storia di tutti i Mr e Mrs Black, ognuno con i propri sogni, le proprie sofferenze e le proprie umanissime manie. Ed è infine la storia di una città, New York, che fa da sfondo alla ricerca di senso della più tragica delle perdite.

Ci sono alcune cose di questo libro che non mi sono piaciute: l’ho trovato troppo ambizioso, nel senso che ha cercato di condensare in 350 pagine tutto il dolore dell’umanità (e c’è l’11 settembre, e la Seconda guerra mondiale, e Hiroshima, e basta, sii clemente, non c’era bisogno!). Voglio dire, bastava il dolore del bambino e i suoi incontri e la sua elaborazione del lutto per sintetizzare tutto il dolore dell’umanità. Poi mi hanno infastidito alcuni artifici un po’ ad effetto che l’autore usa: la pagina completamente bianca, quella colorata, e quella scritta talmente fitta da non farci leggere una parola. Si tratta di artifici che hanno una chiara ragion d’essere nel racconto, nondimeno, non mi piacciono, perché non sono funzionali. Ed infine, trovo che non vi sia molta psicologia: i personaggi sono tutti piuttosto simili. C’è una ragione, anche per questo, ovvero che il dolore ci rende in fondo simili, e lo trovo vero e giusto, ma a tutto c’è un limite: la nonna e il bambino non possono essere così simili!

Detto questo, Molto forte, incredibilmente vicino merita di essere letto, almeno secondo me. È pieno di poesia, è denso di lirica sofferenza ma anche di dolcissimo amore. Spinge a prenderci cura delle persone, a non aver paura di mostrare i nostri sentimenti, e a sentirsi parte di un dolore più grande che da personale e intimo diviene umano e universale.
E poi ci sono delle parti che ho trovato davvero super. Come questa: «Mi fissava con tanta intensità che mi chiedevo se mi stava ascoltando o stava cercando di sentire qualcosa di incredibilmente silenzioso sotto quello che stavo dicendo, tipo un metal detector che però non segnala il metallo, ma la verità».
E ancora questa: «E se l’acqua della doccia fosse trattata con un composto chimico che reagisce a una combinazione delle cose, tipo il battito del cuore, la temperatura del corpo, le onde celebrali, di modo che la pelle cambia colore secondo gli umori? Quando sei eccitato al massimo la pelle diventa verde e se sei arrabbiato, ovviamente, rossa, e se sei un merdaiolo diventa marrone e quando sei depresso blu. Così tutti sapremmo come si sentono gli altri, e avremmo più riguardo […] E un altro motivo per cui come invenzione sarebbe bella è che tante volte hai una sensazione forte e non sai cos’è. Sono deluso? Oppure ho solo tanta paura? […] Ma con l’acqua speciale potresti vederti le mani arancioni e pensare: sono contento! In realtà per tutto quel tempo sono stato contento, che sollievo!».
E se poi non vi convince e non vi va di leggerlo, bè, vi consiglio comunque di dare un’occhiata al capitolo intitolato Il sesto distretto. È la favola che il padre racconta al bambino la sera del 10 settembre per farlo dormire. Un grandioso omaggio a New York. E lo straordinario congedo di un padre verso suo figlio.

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