sabato 27 ottobre 2012

Le Primarie del PD... Ma che si fa?


Qui ci avviciniamo alle primarie e sinceramente non ho le idee chiare (ma mi pare di essere in buona compagnia…). Gente che si fa? Per votare voterei. Ma per chi? Mi appello agli amici lettori, avrei bisogno di un consiglio.
Dunque, Renzi, Bersani, Vendola. Non mi sembrano tre delinquenti (anche se Vendola con questa storia dell’ospedale è per me una grossa delusione): la qualcosa dovrebbe essere normale (cioè, da quanto ne so io, i delinquenti dovrebbero essere in galera) ma nei nostri tempi bui (vedi Er Batman di Anagni e ‘ndrangheta al Pirellone, tanto per citare il meglio) non è più tanto un’ovvietà. Perciò la partenza non è male. Ma…
Analizziamoli uno per uno.

Renzi. Di certo, senza voler dire che è di destra, è il più centrista dei tre. D’altra parte non mi sento del tutto lontana da alcuni suoi concetti: apprezzo l’idea del rinnovamento, ha (sempre presumibilmente) una certa sensibilità per i servizi alle famiglie e per la scuola (come sapete, la moglie è un’insegnante, credo precaria). Non mi pare un oltraggio che dialoghi con tutti, anche con i banchieri e con gli elettori di destra: va però detto che fa passare per rispetto e tolleranza quella che secondo me è piuttosto una furbata. Ha molta energia e ciò non guasta. In televisione è bravo, risponde in modo molto deciso e diretto, indubbiamente ci sa fare. Ha frequentato il mio liceo (cioè, lui finiva e io entravo), perciò giocava a calcio in Piazza della Vittoria, e questo mi ha sempre fatto molto simpatia. Ma questo non vale. Da una parte, seppure non mi convinca completamente, mi piacerebbe dargli una possibilità, tanto potrà fare peggio di questa merda? Solo che c’è una cosa che proprio non riesco a sopportare: Renzi non era quello che non ne voleva sapere di dedicarsi alla vita politica, perché Firenze è la città più bella del mondo e fare il sindaco di Firenze è il lavoro più bello del mondo?
E allora che lo facesse, fino in fondo, per bene, dato che è pagato per questo, invece di girare in camper per l’Italia (che poi pare raggiunga il camper in aereo). Io non ho dubbi che lui stia facendo il sindaco e la sua campagna elettorale contemporaneamente (con tutta l’energia che c’ha, ce la può anche fare), solo che, non so, a me dà fastidio lo stesso. Fare il sindaco della città più bella del mondo dovrebbe occupare tutta la tua energia, tutto il tuo impegno, tutta la tua volontà, per cui, Renzi, non ti voterò. È uno spregio troppo grande per una fiorentina dantina come te.

Bersani. Non capisco da che parte stia. Con tutti non si può. Con il centro o con la sinistra radicale? A me Bersani non dispiace. Ha esperienza, e una certa profondità di ragionamento.Ha anche fatto filosofia, questo mi ben dispone verso di lui. Ma mi pare che sia già stanco e non ne possa già più prima di cominciare. Siamo sicuri che poi ce la faccia a sobbarcarsi i casini di questo paese?
Vendola. Di certo Vendola ideologicamente lo sento più vicino. Sposo in pieno le sue posizioni sui diritti e sugli immigrati. E poi è l’unico con una certa attenzione all’ecologia. Non che io sia una tizia particolarmente “verde”, diciamo così, ma credo che il tema in politica vada contemplato con responsabilità prima che la disattenzione  verso la natura ricada con violenza su di noi. Solo che la questione dell’ospedale (di cui accennavo all’inizio) non mi convince.
Inoltre c’è la questione dei diritti ai lavoratori, per la quale ho paura che né Bersani né Vendola possano rappresentarmi (e in questo, forse, mi sento più vicina a Renzi). Cioè, perché mai un lavoratore nel pubblico dovrebbe essere intoccabile? Vi spiego quello che intendo, non vorrei essere fraintesa. Io sono stufa di andare alla posta, in biblioteca, o in altri luoghi pubblici analoghi, e di trovarmi dei tipi che lavorano al pubblico scoglionati, lenti e maleducati. No. Io questi li manderei a casa. E anche con un calcio in culo. Tutte le volte mi incavolo, e tutte le volte penso che in quel posto lì sarebbe sicuramente più a suo agio e più funzionale uno qualunque dei miei amici, che è mediamente più intelligente, mediamente più veloce ad apprendere, mediamente meno stanco, mediamente meno schifiltoso e disposto a fare tutto e a lavorare con più energia. Direi pure che sarei pure meglio io, se non altro solo perché sarei più gentile.

Tornando a noi, che si fa? Boh, intanto continuo a pensarci… nel frattempo godetevi questi video. Perché, se c’è una cosa che si può dire, è che comunque c’è della comicità in tutti e tre…

Vendola: imitazione di Checco Zalone
Bersani: imitazione di Crozza
Renzi: Noi ragazzi di oggi noi...

giovedì 25 ottobre 2012

Io e la Fenomenologia


Niente Platone: sto lavorando al mio libro (oh…oh… surprise!) e per oggi ne ho visto troppo! Ma vorrei comunque dedicare questo post alla filosofia, in particolare alla Fenomenologia, corrente di pensiero che nasce e si sviluppa nel Novecento ad opera soprattutto di un certo signor Edmund Husserl. All’Università preparai l’esame assieme alla mia amica C. : a lei piaceva Husserl, mentre io preferivo Heidegger; sono stata una fessa, aveva ragione lei, Husserl è di gran lunga più simpatico e, oltre a questo, la Fenomenologia – a mio modestissimo avviso –  ha molto da dire anche oggi. Perciò, Edmund, considera queste mie parole come tardive scuse e come un tardivo omaggio.

La Fenomenologia è una teoria e un metodo al tempo stesso. Lo scopo è «ritornare alle cose», ossia non analizzare la realtà con preconcetti e pregiudizi intellettuali, ma soffermarsi davvero su quello che vediamo, su quello che percepiamo, su quello che sentiamo. Sulla vita, nel suo scorrere e nel suo divenire. Ma «ritornare alle cose» – e dunque alla vita – significa indagare il rapporto che esiste fra noi e le cose stesse (cose è inteso in senso lato, nel senso di ciò che ci circonda; fa riferimento agli oggetti, alle persone, alle situazioni, eccetera…), dal momento che niente esisterebbe senza una mente che dà senso a ciò che vede, che sente e che percepisce.
In altri termini, il nostro approccio al mondo è condizionato, secondo Husserl, dai nostri atti mentali. Ovvero, quando conosciamo qualcuno, o apprendiamo qualcosa, il processo è sempre intenzionale. Cosa significa questo? Significa che la nostra mente non è chiusa in se stessa, ma è aperta al mondo, alle cose, alle persone, e che è sempre “direzionata” verso di esse. A seconda delle situazioni, delle persone e delle cose, la mente si rapporta al mondo con atti mentali sempre diversi: percependo, amando, odiando, immaginando, credendo, desiderando, temendo e così via.

Mi piace molto questo concetto. Intanto è bello dire che la nostra mente è aperta agli altri, è come se fosse sempre pronta a dare e a ricevere. E nella filosofia di Husserl si dice con forza e in modo chiaro che sono atti mentali della nostra coscienza ugualmente la percezione, l’immaginazione, l’amore, l’odio, il ricordo, la sensazione, eccetera. È come se si dicesse che ogni conoscenza degli altri e della realtà è tale perché interagiscono elementi cognitivi e emozionali insieme, e nessuno dei due è superiore all’altro, o ha una dignità maggiore dell’altro nel ragionamento e nella comprensione.

Non posso spingermi molto oltre, perché Husserl è un tizio parecchio complicato e non sono in grado di scendere più in profondità. Rischierei di tradire completamente il suo pensiero.  Solo una cosa. Il processo di conoscenza degli atti intenzionali della nostra coscienza è lungo e difficile e complicato e tortuoso, dice Husserl (non so francamente se usi queste parole). Sì, concordo: banalizzando moltissimo, siamo complicati e abbiamo difficoltà a capire noi stessi e il modo in cui ci rapportiamo al mondo. Ma io personalmente sono orgogliosamente fiera di essere complicata. Al tempo stesso, come credo facessi tu, caro Husserl, faccio appello a tutte le mie forze per comprendere i miei atti mentali, per comprendere a cosa cappero sono orientati, e faccio appello sempre a tutte le mie forze per comprendere gli atti mentali degli altri, e al modo in cui guardano al mondo. Perché credo che la conoscenza sia vita, e a questo non voglio davvero mai rinunciare.

lunedì 22 ottobre 2012

Tutti i santi giorni


Ho visto l’ultimo film di Virzì e me lo sono pianto tutto, dall’inizio alla fine (saranno i troppi ormoni femminili in circolo). Scherzi a parte, Tutti i santi giorni è un film intimistico e delicato, una storia d’amore quotidiana sorretta da due bravi attori: lui, Luca Marinelli, l’avevamo già visto in La solitudine dei numeri primi e si riconferma in un ruolo non troppo dissimile, lei, Rosaria qualcosa detta Thony, è una cantante siciliana dalla voce calda e dolce e alla sua prima – e riuscita – apparizione sul grande schermo.
Guido (Luca Marinelli) fa il portiere di notte in un albergo romano: è un lavoro che gli piace perché così può dedicarsi alla sua grande passione, la lettura. Guido è infatti intelligente, sensibile e coltissimo (Guidipedia), esperto in latino con una tesi di dottorato sui santi protocristiani. Sveglia Antonia (Rosaria qualcosa) tutte le mattine con la colazione a letto (e con il racconto del martirio del santo protocristiano di cui si festeggia l’onomastico) e lei, solare, grintosa, irrequieta, prende il motorino per andare in aeroporto dove lavora in un’agenzia di autonoleggio. Talvolta, però, la sera suona le sue canzoni in un locale e Guido la guarda e ascolta sempre con amore, come la prima volta.

Guido e Antonia sono potenzialmente fragili, ma insieme riescono a essere forti; da soli forse sarebbero a loro modo due disadattati, ma insieme si aiutano a superare le proprie asperità; di certo sono due anime belle in un ambiente e in un contesto molto volgare (una Roma popolata da individui gretti violenti e buzzurri).
Guido e Antonia, si amano, molto, tutti i santi giorni.
Guido e Antonia vogliono un figlio e provano ad averlo, tutti i santi giorni.
Guido e Antonia non riescono ad averlo e affrontano spermiogrammi, ginecologi, e fecondazioni assistite.
Un grande amore può resistere a questa difficile prova?

Il film risponde a questa domanda, io però non lo farò, altrimenti vi rovino la visione. Vi assicuro che la sofferenza di Antonia è stata molto coinvolgente, almeno per me. E la generosità di Guido davvero commuovente. E poi si tratta comunque di un film di Virzì, regista che sa creare con facilità situazioni divertenti e paradossali (il top la sequenza dello spermiogramma). Certo, non è riuscito come Tutta la vita davanti (il mio preferito) ma suscita molte domande: sull’amore, la ricerca della felicità, la condizione di precarietà e insicurezza. Ma Tutti i santi giorni è, come il titolo suggerisce, un film sulla quotidianità. In fondo la quotidianità altro non è se non un percorso: sebbene tutti i giorni siano all’apparenza uguali, è dal tempo, dalla ripetitività dei gesti, dalla consuetudine di vita con chi ci sta vicino, che – quasi involontariamente – apprendiamo, cambiamo, inesorabilmente cresciamo.

domenica 14 ottobre 2012

Passatelli e tradizioni di famiglia


Questo è stato un weekend del tutto casalingo in cui mi sono prevalentemente riposata anche se ho costretto F. alle grandi pulizie autunnali. Vi dico solo che ho lavato i vetri! Penso che non li lavavo da prima del matrimonio (eh, no comment, lo so), ma devo dire che mi compiaccio per averlo fatto con ogni crisma. Prima li ho spolverati con un panno, poi ho usato una spugna bagnata e li ho asciugati con un panno umido, a questo punto ho usato il detergente per i piatti diluito in abbondante acqua e infine li ho asciugati con il giornale. E non solo sono puliti, ma non ci sono aloni! Ringrazio per questo il blog di una tipa che dava consigli su come effettuare lavori domestici, così ho deciso di diffondere anche io sulla rete questo sapere appena acquisito.

Siccome è un po’ che non scrivo e mi dispiace, ma non sono in vena stasera di raccontare episodi edificanti (forse perché sto guardando In onda, e credo che le vicende politiche italiane siano in grado di paralizzare ogni slancio creativo) o di dilettarmi in filosofia, e siccome vengo – come vi accennavo – da un fine settimana molto casalingo, ho deciso di pubblicare un post poco impegnativo ma, per così dire, useful, con una ricetta da consigliarvi.

Si tratta dei passatelli. I passatelli sono una tipica pasta romagnola e marchigiana, una sorta di spaghettoni molto spessi e corti (3-4 cm). Non li avevo mai fatti, ma hanno un valore simbolico: sono legati alla mia famiglia, ossia alle origini marchigiane di mio papà e sono stati tramandati dalla nonna alle zie e anche a mia mamma (che li fa molto bene). In realtà sono semplice da realizzare: si prepara un corposo impasto con 1 uovo, 50 grammi di parmigiano grattugiato e 60 grammi di pangrattato (dosi per due persone), un po’ si sale, di pepe e di noce moscata (ma noi non ce l’avevamo, e abbiamo fatto senza). Consiglio della mamma è l’aggiunta di un po’ di burro per far diventare il composto più gustoso e più omogeneo. Il composto non va lavorato tanto, basta formare una palletta alta e spessa (tipo un polpettone). Per fare i passatelli si può usare il passapatate oppure uno strumento apposito: un attrezzo circolare costituito da una serie di  fori di 4-5 centimetri, che va posto sopra la palla di impasto, esercitando su di essi una leggera pressione in modo che escano questi spaghettoni piccoli e grassottelli.
La tradizione vuole che si facciano in brodo (anche io e F. li abbiamo fatti così) ma ve li consiglio anche con un condimento estivo (olio, pomodorini freschi e rucola a pezzettini) oppure di pesce (vongole e prezzemolo): a volte al ristorante al mare li ho mangiati così.

Penso che la bellezza della cucina stia proprio nella possibilità che essa offre di mantenere il legame con la famiglia, con la terra e con le tradizioni. Un continuum che parte da lontano e può andare lontano. E penso anche che la forza della cucina stia nella condivisione, nel poter trasmettere o regalare o destinare qualcosa a qualcuno. Perciò, ecco qua… spero di aver condiviso con voi un piatto a me molto caro, perché appartiene alla mia famiglia.

Passatelli con l'attrezzo apposito