giovedì 27 dicembre 2012

Condividere l'amore


Interrompo il lungo silenzio: dicembre è stato un mese lavorativamente intenso e questa è la ragione per la quale non ho scritto. Ma torno con un post dedicato alla tragedia greca, come avevo promesso qualche mese fa.

La tragedia greca nasce ad Atene nel V secolo ed è la manifestazione più alta della polis. Al tempo stesso, però, è la rappresentazione delle contraddizioni che vivono eternamente nella realtà, in una comunità e all’interno dell’individuo. Libertà e necessità, ragione e passione, stato e famiglia, vita e morte, giovane e vecchio...
 Il tentativo di affermare se stessi (o anche di fuggire da se stessi) è sempre in relazione e in contrasto con l’universo di appartenenza, che sia lo stato, la famiglia, il nostro passato. La prova ne è Edipo che, più cerca di fuggire dal suo destino, e più ci va incontro; più cerca di costruirsi una sua identità, più è costretto a rispondere di un passato che nemmeno conosce e che tuttavia lo riguarda intimamente.
Soprattutto nelle tragedie di Euripide i personaggi sono violentemente scissi fra la consapevolezza di ciò che reputano giusto e quello che una forza oscura, una passione invalicabile e incomprensibile, li spinge a compiere: «So cosa è giusto e conveniente, ma non lo realizzo nei miei atti», scrive Euripide.

Ma è probabilmente l’Antigone di Sofocle la tragedia più significativa nella rappresentazione dei conflitti umani. La storia, nota a molti, è la seguente: nella guerra di Tebe sono morti Eteocle e Polinice, fratelli della giovane Antigone, il primocombattendo a difesa della città, il secondo come nemico della città stessa. Così l’anziano zio Creonte, divenuto legittimamente il sovrano di Tebe, ha legiferato che Eteocle venga sepolto con ogni onore, mentre Polinice sia lasciato fuori dalla mura «insepolto cadavere», preda di animali e avvoltoi. Ad opporsi a questo editto è Antigone, decisa a dare a suo fratello – costi quel che costi, sfidando una morte a cui con il suo gesto andrà incontro – una degna sepoltura.
Antigone è una giovane donna (tralaltro, somma ironia, prossima alle nozze con il figlio di Creonte!) che si contrappone orgogliosamente e coraggiosamente alla volontà di un uomo anziano. Antigone rappresenta certo quei vincoli di sangue che niente può spezzare: Polinice sarà pure il nemico della città, ma è suo fratello allo stesso modo di Eteocle, ed è a lei, in quanto consanguinea, che il corpo deve tornare. Creonte invece simboleggia lo stato, e la legge che emana è logica e semplice: è necessario evitare l’anarchia e il disordine, pertanto è opportuno premiare gli amici e punire i nemici, e in quest’ottica è necessario seppellire Eteocle, l’eroe della città, e lasciare insepolto Polinice, simbolo della distruzione.
Già qui si riflettono alcuni  elementi della polis ateniese in cui Sofocle ha ambientato la sua tragedia; tensioni al tempo stesso presenti ed eterne, storiche e immutabili, destinate a rivivere in ogni spazio umano.

Ma nell’Antigone c’è molto di più. Creonte proprio non riesce a capire la posizione della ragazza: ma chi glielo fa fare di ribellarsi alle leggi, gesto che la condannerà a morte certa? Creonte è sinceramente convinto che la sua legge sia giusta, perché premia chi merita e punisce chi non merita (non è forse questa la giustizia?). Ma Antigone gli risponde, facendo intravedere un orizzonte più alto: «Chissà se sottoterra questa è la pietà». È come se Antigone dicesse: c’è un tempo in cui è corretto odiare, un tempo in cui valgono premi e punizioni, ma con la morte questo sparisce, perché la morte ha altre leggi, che l’ordine della vita non capisce e non contempla.
 E non solo. Quando Antigone contrappone alla legge scritta di Creonte la legge non scritta degli dei, ovvero un sentimento di pietà religiosa, umano oltre che sacro, che impone sempre e comunque la sepoltura di un morto (comunque sia stato in vita), fa molto di più che enunciare un insegnamento divino. No. Antigone fa leva sulla sua coscienza. «Sì, l’ho fatto e non lo nego», proclama, di fronte al re. La legge di Antigone altro non è che un comandamento interiore morale: devo seppellire Polinice perché è giusto, perché me lo impone la mia coscienza, e non ho paura delle conseguenze, perché sto lottando in ciò che credo. E tutto il resto è relativo.

In fondo, come scrive Sofocle, in a una delle battute più famose e più forti della tragedia, «Non sono nata per condividere l’odio ma per condividere l’amore».

venerdì 7 dicembre 2012

Ricetta invernale


Un’amica mi ha chiesto la ricetta del polpettone di carne che ho preparato a cena ed eccola qui… (anche se un po’ in ritardo!).

Sulle quantità io vado completamente a caso (a occhio, via), cioè giudico la consistenza con le mani quando lavoro il composto… comunque, direi: 300 grammi di carne trita, 150 di pan grattato e 50 di formaggio parmigiano grattugiato, un uovo, un pizzico di sale e di pepe (se vi va). Lavorate il composto con le mani fino a farne un salsicciotto lungo e grassoccio. Non ci devono essere spaccature, deve essere molto compatto. Se è duro aggiungete un po’ di latte (ma molto poco), se è morbido aggiungere pan grattato. Se lo volete più saporito nelle quantità iniziali diminuite il pan grattato e aumentate un po’ il formaggio, oppure usate il pecorino grattugiato, ma in quel caso attenzione a non abbondare con il sale!
Per la versione light ma sfiziosa vi consiglio di passarlo alla fine nel pan grattato in modo che poi si formi una crosticina attorno. La versione maialina (la preferita da F.!, infatti in genere di questo se ne occupa lui…) invece vuole che si copra interamente il composto con delle sottilissime fette di pancetta (in questo modo il grasso della pancetta lo insaporisce ancora di più).
In forno (usate la carta forno, mi raccomando, si appiccica tutto sennò!), quaranta minuti a 200.

E voilà! Se accendo il forno, in genere lo uso anche per il secondo. Per cui come accompagnamento ho preparato per la mia amica e suo marito carote e finocchi. Li ho tagliati in verticale a fettine, poi li ho conditi con abbondante olio, sale, pepe e maggiorana in un recipiente perché si insaporiscano dieci minuti. Poi in forno a duecento per 45 minuti. Gli ultimi quindici minuti aggiungete parmigiano grattugiato e un po’ di pangrattato (un cucchiaio per entrambi). Gli ultimi cinque minuti accendete il grill così le verdure divengono dorate in superficie.

Allego due immagini trovate su Internet (le più simili  a come realizzo i piatti che ho descritto) ma le sostituirò appena posso con foto degli originali.

Polpettone da mettere in forno in versione light (senza pancetta)

Primo piano di carote e finocchi