domenica 30 novembre 2014

Eraclito e qualche aforisma

Polemos di tutte le cose è padre e di tutte il re

Questo è uno degli aforismi di Eraclito, il mio filosofo preferito prima di Platone. Eraclito in verità ha fama di uomo super antipatico, arrogante e presuntuoso, fama che gli deriva da una serie di affermazioni contro il volgo (apparteneva a una famiglia nobile, si dice addirittura avesse rifiutato la carica di re di Efeso), da lui ritenuto rozzo e ignorante.
Quanto lui è insopportabile, tanto la sua filosofia è affascinante. Scrive aforismi di assoluta bellezza, soprattutto mi piacciono quelli dedicati all'anima umana, tra i quali: "Per quanto tu cammini, ed anche percorrendo ogni strada, non potrai raggiungere i confini della psiche: tanto profonda è la sua vera essenza", oppure "Negli stessi fiumi entriamo e non entriamo, siamo e non siamo". Il primo allude alla complessità dell'uomo, il secondo al cambiamento: abbiamo un mondo dentro di noi, affascinante e complicato, spesso sconosciuto a noi stessi, e poi ci modifichiamo ed arricchiamo ogni giorno, perché ogni nuova esperienza ci rende diversi da quello che eravamo ieri.

Ma cosa vuol dire l'aforisma che ho messo ad esergo di questo post? Chi è polemos? Polemos in greco significa guerra. Ma attenzione... In Grecia polemos non intendeva solo lo scontro militare, ma anche la contesa, il conflitto, lo scambio dialettico.
Pertanto con questa affermazione Eraclito intende dire che la realtà (intesa come tutto ciò che esiste) si mostra sempre attraverso l'opposizione di termini contrapposti: ogni cosa non è mai da considerarsi nella sua unicità, ma esclusivamente in relazione a un elemento che la nega. Non c'è l'amaro senza il dolce, o il giovane senza il vecchio, né il sano senza il malato, e neppure il caldo senza il freddo (sono tutti suoi esempi). Questa spiegazione rimanda a uno dei concetti cardine della filosofia eraclitea, quella che è indicata comunemente come "l'armonia degli opposti".
Ma spiegare polemos solo in questo modo credo sia riduttivo. Come sempre, secondo me, la filosofia va applicata a un contesto umano e comunitario. È dal vivere all'interno di una città, è nel rapportarsi con gli altri che Eraclito potrebbe avere appreso che tutto avviene secondo opposizioni. Io sostengo un'idea, l'altro da me ne sostiene un'altra, ed è proprio dalla relazione fra noi due, dallo scambio dialettico, dal dialogo anche come scontro che scaturisce la verità. Altrimenti come spiegare un altro aforisma di Eraclito che sostiene: "si deve sapere che polemos è comune, e che la giustizia è contesa, e che tutto avviene secondo contesa e necessità"? Eraclito qui mostra che polemos è una condizione sana; intende dire che polemos, nel senso di lotta, rivalità, contesa, è alla base della stessa formazione del concetto di giustizia. Perché la giustizia, secondo Eraclito, non è qualcosa di acquisito a priori, ma qualcosa che si impara, dallo scambio, dalla differenza, dalla relazione, anche qualora questa relazione sia oppositiva. E perché no, è vero anche che la giustizia mai la apprenderemmo se non facessimo esperienza del suo opposto. E vi lascio infatti con le sue parole:

Di giustizia non vi saprebbero il nome se non ci fossero le cose ingiuste

martedì 25 novembre 2014

La stella Renzi

Quello che sto per scrivere è in assoluto il mio post più idiota. Direi che sarà anche tra i dieci post più idioti della rete. Ma dovevo condividere con voi questa scoperta. Ve lo dico di già: perdonatemi.

Riconosco di essere un po' fuori dal mondo da quando è nata Coty Co. Non seguo molto la politica. Leggo poco il giornale. E soprattutto non guardo mai il TG, perché la sera guardiamo tutti Peppa Pig (sulla quale sono peraltro preparatissima, conosco puntate e personaggi a perfezione). Non vedo neanche più Crozza perché la sera metto a letto la piccoletta e dopo sono spesso troppo cotta per rialzarmi. Prometto di riprendermi. Datemi qualche altro mese e poi tornerò appieno nel mondo civile e sociale.

Però mentre ero su Youtube con la topina ho trovato in un cartone (molto carino e adatto a bimbi piccoli per altro!) il sosia di Renzi.




Che ve ne pare? Non trovate che la stellina dentona gli somigli?? 



lunedì 17 novembre 2014

Ancora a Coty... Perché non resisto!

Eh sì. Non resisto. Devo tornare a parlare di lei. Vivere con la mia piccola Coty è un continuo rimanere sospeso fra il passato e il futuro. Ogni giorno Coty cambia e non fai che chiederti come sarà domani, cosa succederà fra un mese, come sarà fra un anno, e poi quando inizierà la scuola e quando sarà un'adolescente (a questo è meglio non pensare!!). Con trepidante gioia guardi al giorno che verrà. E alla bambina che diventerà. Al tempo stesso non fai che ripensare ai momenti passati insieme, e provi un'indicibile nostalgia per quegli attimi irripetibili. Penso a quando l'ho vista la prima volta. Lunga, con gli occhi azzurri, che mi si è arrampicata addosso e appoggiata alla tetta. Penso alle nostre passeggiate assieme, lei piccolissima che dormiva nel marsupio in collo a me. Penso alle sue prime risate. A quando ha detto mamma. E poi papà. A quando gattonava: orgogliosa di se, dopo 4 o 5 zampettate, si metteva seduta, ti guardava e salutava con la manina.

Voi mi direte di godermi il presente invece di guardare al futuro e al passato in questo modo. E io vorrei rispondere che trovo questo presente davvero sopravvalutato. Come dire, il presente è troppo breve. Un attimo prima è futuro, un attimo dopo è passato. E poi cosa vorrebbe dire? Cosa faccio, mi godo il presente e non penso? Ma io non posso fare a meno di pensare. E allora, davvero, preferisco essere così. Una sognatrice piena di speranze, che guarda al futuro perché non ha paura. E al tempo stesso, una romantica nostalgica, che guarda al passato perché sa che il passato determina la mia storia e il mio essere.

Ma in verità, bambina mia, io trovo meraviglioso pensare a te. Sono orgogliosa dei progressi che fai ogni giorno. Sono felice di vederti così luminosa e bella. Sono commossa quando vieni da me e dal papà a darci i bacini. Ti sono riconoscente per aver reso speciale il mio passato.  E sono pronta ad accompagnarti nel futuro, fino a quando tu vorrai, e nel modo in cui vorrai.

sabato 15 novembre 2014

Una storia che non possiamo raccontare

Sapete che leggere è una mia grande passione, e, anche se adesso ho meno tempo per farlo, cerco comunque di ritagliarmi qualche momento. È di lettura che vorrei scrivere oggi, di un libro che non solo mi è piaciuto molto ma che mi ha regalato anche tanti stimoli per pensare.
Si chiama Una storia che non possiamo raccontare: l'autore, Stephen Grosz, è uno psicanalista inglese che raccoglie in questo libro alcune storie dei suoi pazienti. Sono storie in cui le persone si confrontano con il lutto e il dolore, con le menzogne che raccontano agli altri e a se stessi, con un'infanzia difficile, con intricati rapporti familiari, in una parola con i problemi che tutti noi, in quanto esseri umani, ci troviamo prima o poi costretti a fronteggiare, che li si racconti a uno psicanalista oppure no.
Sono storie brevi, ad ogni paziente Grosz dedica tre o quattro pagine, ma in quel piccolo spaccato di esistenza vive non solo il singolo, con il suo pensiero, le sue emozioni e il linguaggio con cui li esprime, ma in un certo senso l'umanità tutta. Nel particolare vive l'universale, direbbe Aristotele, e così è.
Non vi racconterò nessuna delle storie, per quelle vi lascio alle pagine di Grotz, quello che vorrei dire qui oggi sono le riflessioni che questo libro ha suscitato in me.

Innanzi tutto, la perdita. Questo è un libro sulla perdita. Su come la perdita (ed intendo per perdita non solo la morte ma anche la separazione) è intimamente legata alla nostra natura umana. Segna la nostra esistenza, perché prima o poi tutti noi la vivremo. E ne abbiamo comprensibilmente paura, perché che qualcuno che amiamo un giorno se ne vada per sempre, bé, è qualcosa che lascia senza respiro. Le persone di queste storie spesso affrontano una perdita. Una parte di noi se ne va con lei. Ma noi restiamo.    E continuiamo. E, come dice Dubus nella frase ad esergo del libro: "Riceviamo e perdiamo, e dobbiamo sforzarci di conquistare la gratitudine; e con essa abbracciare di tutto cuore quel po' di vita che rimane dopo le perdite". Riceveremo ancora, statene pure certi.

Poi, il cambiamento. Dice Grosz che un suo paziente una volta candidamente gli ha detto: "Voglio cambiare ma non se questo comporta un cambiamento". Spesso restiamo intrappolati in una situazione, impigliati nei nostri pensieri, vogliamo uscirne e dunque cambiare, ma al tempo stesso non vogliamo rinunciare a quella situazione e a quei pensieri, perché quella situazione e quei pensieri sono la nostra storia, siamo noi. Cambiare vuol dire perderli. Vuol dire perdere una parte della nostra storia. Vuol dire perdere una parte di noi. E sebbene talvolta sia inevitabile, è un percorso doloroso rinunciare a se stessi.

Ed infine, la comunicazione. Le persone di questo libro hanno delle emozioni a cui non riescono a dar voce. E il compito dello psicanalista è dare un linguaggio a quelle emozioni. È trasformare il confuso silenzio dentro di noi in parola significante. Perché i nostri comportamenti sono ben lontani dal rappresentare totalmente noi stessi. Siamo molto di più di quello che facciamo. E inoltre, anche comportandoci nello stesso modo di un'altra persona nella medesima situazione, non è detto che le motivazioni siano uguali. C'è tutto un mondo irrazionale dentro di noi che ci rende più complessi e inafferrabili di quanto noi stessi crediamo.

La vita del singolo è come un libro in via di scrittura. Un entusiasmante libro in cammino. Solo che talvolta non riusciamo a usare le parole giuste. In questo libro Grosz cerca per i suoi pazienti le parole mancanti. Ed è soprattutto per questo sforzo interpretativo che vi consiglio la lettura.
Io, dal canto mio, ogni giorno cerco le parole per scrivere al meglio il libro della mia vita.

martedì 4 novembre 2014

Filosofia per me

Nella prima lezione di filosofia in terza ho chiesto cosa significhi 'filosofia'. Quasi tutti sanno che l'etimologia della parola è 'amore per il sapere' o 'amore per la sapienza', ma ci si sofferma poco a pensare a cosa si intende sia per 'amore' sia per 'sapere'.
Approfitto di questa riflessione per dirvi che cos'è per me la filosofia.

Cosa significa 'sapere'? Io credo che il sapere sia il pensare bene, l'impegnarsi a riflettere, lo sforzarsi ad analizzare ogni situazione. Significa non fermarsi all'apparenza delle cose, ma guardare, interpretare, scendere nel profondo. Significa riconoscere che ogni situazione, come ogni persona, è complessa; e la nostra capacità dovrebbe essere quella di accettare tale complessità e di scandagliarla, o perlomeno di provarci. Io credo che il sapere non sia qualcosa di dato, ma qualcosa continuamente in divenire, sfuggente ed enigmatico, e che la filosofia dev'essere una ricerca, una tensione, uno sforzo che avviene attraverso la capacità più umana che vi sia: il pensiero.
Per questo si parla di amore. Cos'è l'amore se non una tensione costante verso l'altro, un tentativo di comprenderlo sempre in atto?

Ma la filosofia per me è anche condivisione del sapere. Altrimenti i greci non avrebbero usato il suffisso 'filos' che significa amico. Mi spiego meglio. I greci avevano tre termini per indicare l'amore. C'era l'eros, l'amore carnale, passione, sensuale. C'era l'agape, l'amore compassionevole, altruista, generoso, che poi sarà ripreso dalla tradizione cristiana. E poi c'era la philia. L'amore che coincide con l'amicizia, quell'amore che nasce dalla stima, dalla frequentazione, dalla condivisione di interessi, dal dialogo. Diversamente dall'eros che vuole possedere egoisticamente l'altro (io sono tua e tu sei mia, dicono gli amanti e questa affermazione esprime con forza il loro desiderio), e sempre diversamente dall'agape che è invece darsi completamente all'altro quasi annullando se stesso, la philia è, direi, tranquilla condivisione. È amare qualcuno senza interesse. È volere il suo bene, perché il suo bene coincide con il mio. È quell'amore che nasce dal dialogo, dallo scambio, dalla vicinanza intellettuale.
Per questo filosofia, e non agapesofia o erosofia, secondo me. Perché la filosofia non è l'individuale ricerca del sapere, ma è la capacità di condividere il sapere. Di rendere il sapere comune. Di vivere il sapere, ovvero il retto pensare, come uno scambio, un dialogo, un confronto dialettico.
La filosofia in questo senso non è soltanto monito o piuttosto incoraggiamento a riflettere e pensare, sfida all'intelligenza che non deve accontentarsi mai di risposte precostituite, ma è anche stimolo a confrontarsi, a riconoscere l'altro, ad ammettere che il vero sapere è solo quello che nasce e matura assieme.