sabato 15 novembre 2014

Una storia che non possiamo raccontare

Sapete che leggere è una mia grande passione, e, anche se adesso ho meno tempo per farlo, cerco comunque di ritagliarmi qualche momento. È di lettura che vorrei scrivere oggi, di un libro che non solo mi è piaciuto molto ma che mi ha regalato anche tanti stimoli per pensare.
Si chiama Una storia che non possiamo raccontare: l'autore, Stephen Grosz, è uno psicanalista inglese che raccoglie in questo libro alcune storie dei suoi pazienti. Sono storie in cui le persone si confrontano con il lutto e il dolore, con le menzogne che raccontano agli altri e a se stessi, con un'infanzia difficile, con intricati rapporti familiari, in una parola con i problemi che tutti noi, in quanto esseri umani, ci troviamo prima o poi costretti a fronteggiare, che li si racconti a uno psicanalista oppure no.
Sono storie brevi, ad ogni paziente Grosz dedica tre o quattro pagine, ma in quel piccolo spaccato di esistenza vive non solo il singolo, con il suo pensiero, le sue emozioni e il linguaggio con cui li esprime, ma in un certo senso l'umanità tutta. Nel particolare vive l'universale, direbbe Aristotele, e così è.
Non vi racconterò nessuna delle storie, per quelle vi lascio alle pagine di Grotz, quello che vorrei dire qui oggi sono le riflessioni che questo libro ha suscitato in me.

Innanzi tutto, la perdita. Questo è un libro sulla perdita. Su come la perdita (ed intendo per perdita non solo la morte ma anche la separazione) è intimamente legata alla nostra natura umana. Segna la nostra esistenza, perché prima o poi tutti noi la vivremo. E ne abbiamo comprensibilmente paura, perché che qualcuno che amiamo un giorno se ne vada per sempre, bé, è qualcosa che lascia senza respiro. Le persone di queste storie spesso affrontano una perdita. Una parte di noi se ne va con lei. Ma noi restiamo.    E continuiamo. E, come dice Dubus nella frase ad esergo del libro: "Riceviamo e perdiamo, e dobbiamo sforzarci di conquistare la gratitudine; e con essa abbracciare di tutto cuore quel po' di vita che rimane dopo le perdite". Riceveremo ancora, statene pure certi.

Poi, il cambiamento. Dice Grosz che un suo paziente una volta candidamente gli ha detto: "Voglio cambiare ma non se questo comporta un cambiamento". Spesso restiamo intrappolati in una situazione, impigliati nei nostri pensieri, vogliamo uscirne e dunque cambiare, ma al tempo stesso non vogliamo rinunciare a quella situazione e a quei pensieri, perché quella situazione e quei pensieri sono la nostra storia, siamo noi. Cambiare vuol dire perderli. Vuol dire perdere una parte della nostra storia. Vuol dire perdere una parte di noi. E sebbene talvolta sia inevitabile, è un percorso doloroso rinunciare a se stessi.

Ed infine, la comunicazione. Le persone di questo libro hanno delle emozioni a cui non riescono a dar voce. E il compito dello psicanalista è dare un linguaggio a quelle emozioni. È trasformare il confuso silenzio dentro di noi in parola significante. Perché i nostri comportamenti sono ben lontani dal rappresentare totalmente noi stessi. Siamo molto di più di quello che facciamo. E inoltre, anche comportandoci nello stesso modo di un'altra persona nella medesima situazione, non è detto che le motivazioni siano uguali. C'è tutto un mondo irrazionale dentro di noi che ci rende più complessi e inafferrabili di quanto noi stessi crediamo.

La vita del singolo è come un libro in via di scrittura. Un entusiasmante libro in cammino. Solo che talvolta non riusciamo a usare le parole giuste. In questo libro Grosz cerca per i suoi pazienti le parole mancanti. Ed è soprattutto per questo sforzo interpretativo che vi consiglio la lettura.
Io, dal canto mio, ogni giorno cerco le parole per scrivere al meglio il libro della mia vita.

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