martedì 28 ottobre 2014

Io e la pancia - parte 3

Coty Cò se ne stava dunque nella pancia a testa in su, spesso con il sederino appoggiato sull'utero e le gambette belle distese in avanti. Muoveva la testa e anche i piedini ma di spostare il suo bel sederino e di fare da sola il capitombolo non ne voleva proprio sapere. Una principessina, un po' come la mamma.

Così, dopo l'incursione nella medicina cinese (fallimentare), ci è rimasta un'ultima possibilità prima del cesareo. La manovra.
Io non so proprio come mai mi sono incaponita così per fare il parto naturale, non vi dico quanto mi sono maledetta durante il travaglio; in ogni caso alla settimana 37 vado dal dottore ginecologo incaricato. Fa un'ecografia, verifica che la bimba stia bene e che vi sia sufficiente liquido amniotico e mi dice di presentarmi il giorno dopo alle 8 digiuna (era un tipo pratico di poche parole). Ora, dire digiuna a una donna incinta sarebbe già sufficiente per farla desistere ma non mi faccio scoraggiare, e non mi scoraggio neanche il giorno dopo, anche se ho aspettato fino alle 11 (avrei mangiato pure la sedia, non ne potevo più!).
Entro nella stanza deputata, il dottore mi collega all'ecografo e mi dice: "50% riesce, 50% no. In un 1% dei casi la bambina va in tachicardia o ci sono problemi con il cordone e bisogna fare il cesareo d'urgenza. Va bene?".
Io tra me e me penso che 1) dopo la gravidanza parlerò in percentuali, per quante ne ho sentite durante, 2) 50% ancora non mi era capitata (riuscita della moxa 75% e ovviamente noi eravamo nel restante 25%), 3) quell'1% non mi spaventava granché. Insomma se al cesareo ero destinata, che si facesse subito, così non ci pensavo più.
Così rispondo bella coraggiosa:"va bene". Il dottore prosegue:"non è dolorosa ma fastidiosa si. Dura 2 minuti. Tu respira. Se senti male dimmelo".

La manovra si fa dall'esterno. Il dottore mette le mani sull'addome e, premendo sulla pancia, spinge il sedere della principessa per farlo girare. Allora, lì per lì penso: "è vero che dura non più di 2 minuti. Non è vero che é fastidiosa, è proprio dolorosa". Però, certo, dopo il parto, rivedi un po' il tuo concetto di dolore ed effettivamente può essere ritenuta appena appena fastidiosa.
Comunque, questa volta abbiamo beccato la percentuale giusta. La piccolina, grazie all'intervento del dottore, era girata con il capino verso il basso, pronta per uscire. Anche la mia pancia cambia e scende vertiginosamente verso il basso. 2 settimane dopo Coty Cò è pronta per questo mondo... Ma questa è un'altra storia, che vi racconterò in un'altra puntata.

Aspettando Costy... XXXVII settimana

mercoledì 22 ottobre 2014

Io e la pancia -parte 2

Se i miei primi tre mesi (anche quattro) di gravidanza ho dovuto combattere con la nausea, gli ultimi tre (anche quattro) ho dovuto combattere con la pipì. Dovevo continuamente andare in bagno. Il peggio del peggio era quando tornavo da Pisa: il piano della pipì prevedeva che 1) andassi in bagno subito dopo le lezioni 2) andassi nel bagno della coin sulla strada di ritorno perché è vicina alla stazione 3) corressi dalla stazione di Firenze fino a casa, che fortunatamente è vicina, sperando di non incocciare in un semaforo rosso, di trovare immediatamente le chiavi in borsa eccetera (odio il bagno del treno regionale... o non funziona o lo devi cercare o è sporchissimo) 4) mi precipitassi dalla porta di casa al WC senza parlare né salutare F.
Tutto questo confidando nella regolarità del servizio Trenitalia, perché 15 minuti di ritardo non erano sostenibili per la mia vescica. Eh lo ammetto. Un paio di volte non ce l'ho fatta. Ma non mi dilungo in questa narrazione che è già trash così.

Oltre a questo, tutto procedeva regolarmente. Ogni mese ecografia (vedi), la piccoletta si faceva sentire, la pancina diveniva sempre più panciona, io stavo bene. Il tempo dell'attesa è carico di desideri sospesi che riempiono il cuore di gioia.
Senonché una percentuale della sfiga l'abbiamo beccata anche qui. Niente di drammatico, stavolta. Semplicemente, la Coty Cò non voleva proprio girarsi. Lei se ne stava con il capino su e le gambe giù e non ne voleva sapere di mettersi nella posizione per l'uscita (che è esattamente al contrario). In questi casi si prenota un cesareo. Oppure... Oppure si cerca di far girare la creatura in qualche modo. Ed è quello che abbiamo fatto.

Il primo tentativo consigliato dalle ostetriche che mi seguivano (bravissime, le penso sempre con tanto affetto) è stato rivolgersi alla medicina cinese, in particolare modo a una pratica che si chiama Moxa. La Moxa consiste nell'avvicinare alle dita dei piedi (al mignolo per l'esattezza) un sigaro fumante costituito da una sostanza speciale chiamata polvere di artemisia. Per la corrispondenza degli organi, principio della medicina cinese, al mignolo del piede è legato il ventre: il calore emanato dal sigaro penetra nel corpo, il feto dovrebbe sentirlo e questo dovrebbe spingerlo a girarsi.
Non vi dico che avventure questa moxa: per trovare i sigari ci siamo spinti nel quartiere cinese, il deputato alla terapia era F. che passava 15 minuti immobile come una statua con i sigari in entrambe le mani, per di più questa polverina puzzava e dovevamo metterci pigiati nel terrazzino di casa esposti agli occhi di tutti.
La moxa ha fatto effetto? No. Coty Cò se ne stava lì beata con la testina su.
E allora siamo passati al secondo tentativo. La manovra.

Testimonianza di vita vissuta. La Moxa sul balcone


Fine seconda puntata

domenica 19 ottobre 2014

Io e la pancia - parte 1

La pancina è venuta fuori tutta assieme la settimana XVI esattamente quando sono sparite le nausee. Mi sono svegliata la mattina e c'era lì qualcosa, qualcosa che prima non si vedeva. La mia piccolina cominciava a prendere posto dentro la sua mamma.

Io penso che la gravidanza sia qualcosa di magico. Sei uno, perché sei sempre tu. Ma sei anche due, perché custodisci una vita dentro di te. Poi, quella vita prenderà forma, diventerà persona, diventerà qualcuno diverso da te, con le sue virtù e i suoi difetti, con la sua individualità, come è giusto che sia. Ma in quel preciso, magico momento, io e lei siamo state una cosa sola. Andavamo insieme a scuola, prendevamo insieme il treno per Pisa; io nuotavo in piscina e anche lei nuotava beata nella sua piscina personale. Le parlavo o la accarezzavo attraverso la pancia e lei rispondeva con un calcetto o alzando il capino (lo so perché la Cò ha tenuto fino all'ultimo la testa il più vicino possibile alla sua mamma, è stata podalica fino a 10 giorni dal parto).

Che gravidanza ho avuto? Bè, ottima da un punto di vista fisico, nel senso che non ho mai avuto il mal di schiena, non mi sono gonfiate le gambe, niente aumento di peso eccessivo, insomma, niente di tutto quello che lamentano solitamente le donne incinte. Però io e F. abbiamo incrociato un paio di quelle percentuali di sfiga che in una gravidanza si possono incrociare.

Dicono che una percentuale irrisoria (il 4%) presenta dei problemi all'ecografia morfologica, quella che si fa al quinto mese per vedere lo sviluppo degli organi e quella in cui peraltro ti dicono il sesso del nascituro. Ok, 1 coppia su 25, dunque. Noi. La piccoletta aveva una cosa che si chiama intestino iperecogeno. Questo marker, ovvero questo segno ecografico, significa solo che il suo intestino risulta più bianco delle ossa. In sé non è nulla, quasi sicuramente non è nulla, ma potrebbe - seppur raramente - essere legato a una patologia importante. Pertanto il mese di aprile è stato carico d'ansia per noi, che, per scongiurare grossi rischi, abbiamo  dovuto fare una serie di esami non senza patemi d'animo (peraltro io ero risultata portatrice della malattia - anche qui incrociando la percentuale della sfiga - ma F. no, dunque tutto ok, perché bisogna essere entrambi portatori per trasmetterla, ma non vi dico che paura); da lì siamo poi entrati per sicurezza nella procedura della gravidanza a rischio, perciò mi sottoponevo a un'ecografia al mese per verificare che la crescita di Coty Coty fosse regolare. E lo era. Anzi, la piccoletta aveva sempre delle belle gambette lunghe e un gran testone! La dottoressa mi diceva sempre che la Cò era una ballerina: si muoveva e si disponeva nelle posizioni più impensabili, si metteva i piedini in bocca o li prendeva con la mano, spesso si copriva la faccina come per non farsi vedere.

All'inizio ero preoccupata. Ho passato tutto il mese di aprile a googolare su internet 'intestino iperecogeno'. Poi ho deciso di smettere. Insomma, lei era lì, dentro di me, ed il meglio che potessi fare per lei era proteggerla e trasmetterle la mia gioia. Nessun altro in quel momento poteva fare questo per lei, toccava solo a me. Ecco. È stato in quel preciso istante, quando ho sentito questa responsabilità, che ho capito che ero mamma per la prima volta.

Fine prima parte 

mercoledì 15 ottobre 2014

Consiglio di lettura: Raccontare la periferia 4


Cari amici, questo post e quello che lo precede, vogliono servire da collegamento fra la tipa che ha lasciato il blog poco dopo aver saputo di essere incinta, e la tipa che lo riprende adesso, da mamma. Non so proprio dirvi se è la stessa persona. Di certo, sono diventata più forte, più serena, anche se più emotiva (lo avrei detto impossibile, ma invece no; se prima piangevo per quasi tutto, dalla gravidanza in poi ormai sono in balia degli ormoni e non piango più per quasi tutto ma indiscutibilmente per tutto!!!). 
Sto divagando. In ogni caso Platone non l'ho dimenticato ed è in arrivo anche un post su di lui. In questo però volevo semplicemente copiarvi l'appendice al volume che ho in parte curato come redattrice insieme alla mia collega C. quando lavoravamo al V. (ricordate? Vedi). Il volume è uscito successivamente (ovvero quando noi eravamo ormai a spasso), è pubblicato da Polistampa, e i racconti sono belli; certo, io sono legata affettivamente, ma in modo spassionato ve lo consiglio. 
Con questo post vorrei prendere congedo dagli anni che ho passato al V. Grazie di cuore al mio responsabile, a cui devo moltissimo. E grazie ai miei ex colleghi, alcuni dei quali sono tra i miei amici più grandi, sempre e comunque.  Ed ecco qua...

Abbiamo lavorato come collaboratrici al V. e, fin da quando siamo entrate, rispettivamente sei e cinque anni fa, abbiamo seguito ai margini il premio Raccontare la periferia. Ora che la nostra collaborazione è terminata, ci fa piacere congedarci dal V. – al quale dobbiamo incondizionatamente la nostra formazione lavorativa nel campo della cultura – scrivendo una nostra nota a questo volume. Perché abbiamo seguito minuziosamente e amato questa quarta edizione.
Sono arrivati una ottantina di racconti e, avendo partecipato alla preselezione, ed essendo state presenti alla selezione dei vincitori da parte della giuria, possiamo dirvi che ci eravamo affezionate a molte storie, che la stessa giuria è stata in difficoltà nella scelta dei premiati e menzionati.
Al tempo stesso siamo orgogliose di questo volume che abbiamo contribuito, in qualità di redattrici, a pubblicare. Da esso emergono, nitidi e chiari, i molti volti con cui è possibile leggere la periferia: personale e collettiva, luogo fisico o luogo dell’anima, diversità e integrazione, fatica e speranza, desolazione e novità. La nostra premura è di comunicare al lettore di questo volume che ogni testo inviato, anche se non è rientrato fra i premiati o menzionati, abbia comunque rappresentato un’istantanea molto rappresentativa della realtà sociale che noi chiamiamo genericamente ‘periferia’ e che, ora come tra qualche decennio, continuerà a costituire un documento storico di chiara importanza. Ogni racconto meriterebbe per questo di essere letto e ci auguriamo pertanto che un giorno possa nascere un archivio di tutti i testi inviati, grazie al quale poter attingere a tutte queste esperienze così intense e spesso volutamente trascurate dai più.

Nel racconto della vincitrice, S. B., il viaggio in autobus alla periferia di Prato del narratore diviene un modo per riappropriarsi dolorosamente della propria identità e di un difficile rapporto con la madre. Frammenti di una giovane balena stanca descrive in modo ironico e spesso ermetico l’amore che due ragazzi provano per il loro quartiere, le Piagge, nonostante i suoi tanti difetti e grazie ai suoi inestimabili pregi. Elena, Kiara e la patente, di C. P., è invece una storia delicata di integrazione e di amicizia fra due persone molto diverse, un’anziana un po’ sola e malata e una giovane madre cinese da poco in Italia.
Ma anche i racconti che hanno avuto la menzione dalla giuria indagano le periferie in modo sempre diverso e originale. Con Verso la strada che non esiste è la coralità di un gruppo di abitanti della campagna pisana che insegna a impegnarci per preservare l’integrità del territorio in cui abitiamo. Cani e Transitalia raccontano da due punti prospettici opposti, il primo di un poliziotto, il secondo di una prostituta trans, l’incapacità di adattarsi alle regole e alla vita che entrambi sentono di non aver scelto per se stessi. In Camminata, attraverso un lungo monologo interiore, il narratore – che sta passeggiando lungo il “suo” fiume – rivive la propria infanzia e adolescenza, facendosi trasportare dai pensieri. Periferia per chi? è un’inchiesta giornalistica in cui sono riportate le esatte parole di chiunque abbia voluto definire il proprio concetto di periferia. In Ugi, la strada, l’aeroporto e il fiume si racconta la giornata ordinaria del protagonista in un imprecisato quartiere di periferia: emergono droga e illegalità, ma anche un sentimento genuino di amore e protezione verso la famiglia e la speranza – chi lo sa – di un nuovo amore. In Un uomo speciale l’autore tiene insieme con abilità storia collettiva (la nascita del quartiere periferico dell’Isolotto) e storia individuale (le vicende tragiche ma raccontate sempre in punta di piedi e con una certa ironia del protagonista, Egidio Filippini). Ed infine, forse il testo più intenso e significativo seppur nella sua brevità, Melina, la descrizione della vita in un carcere femminile, con le sue regole subdole e i tempi titanici, da parte di una donna che, con educazione e modestia, ci insegna a vedere un futuro anche attraverso le prospettive più buie.
Le ultime parole le vorremmo però spendere per i vincitori del Premio speciale, attribuito alla Scuola Media Paolo Uccello. Non è solo un ottimo lavoro, ma è molto di più; fate attenzione ai nomi dei ragazzi, tutti provenienti da paesi diversi, leggete le loro parole, guardate le loro foto, e vi accorgerete di quello che può essere la periferia: integrazione, unione, sogno e fantasia. Con i soldi della vittoria i ragazzi hanno potuto comprare i pennarelli per realizzare il murales che vedete qui sotto.
Questa è la ragione per cui è nato, e ci auguriamo continuerà a esistere, il premio Raccontare la periferia, ed è con questo bel dipinto che vorremmo simbolicamente lasciarvi e augurarvi un buon viaggio nelle periferie di questo libro.





venerdì 10 ottobre 2014

Se vi viene voglia di leggere il mio libro...


Vi chiederete perché non ho scritto in questo lungo tempo. Credo sia perché l'esperienza di un bambino è così forte e sconvolgente nella sua bellezza che al momento non vuoi raccontarla. D'altra parte sei in grado di parlare di poco altro. Ma poi, piano piano, non vedi l'ora di condividere e anche di rivivere la gioia la commozione la preoccupazione e tutte le emozioni così strette dentro di te, e prende sempre più strada il desiderio di tornare alla scrittura. Contemporaneamente, quel mondo esterno che prima ti sembrava essersi improvvisamente trasformato, e del quale  a onor del vero ti importava il giusto, torna ad assumere i suoi contorni consueti: gli amici, la scuola, qualche bel libro, qualche bel film, qualche notizia politica.
E così eccomi. Vi chiederete cosa ho fatto in questo anno e mezzo. Bè principalmente ho allattato dondolato e scarrozzato la mia piccola Cò. E prima di questo mi sono ammirata e accarezzata la pancia chiedendomi anche - fra le altre cose - se l'ombelico sarebbe tornato come quello di un tempo (la risposta è sì, torna come prima!).

Però devo dire che nonostante questo ho messo a segno due obiettivi importanti.
1) Mi sono abilitata all'insegnamento (vedi) e così ora sono una vera prof che ha una sua piccola supplenza annuale. Sul corso di abilitazione potrei raccontarne molte ma, forse grazie alla pancia (ero incinta mentre lo frequentavo), l'indignazione era un sentimento sconosciuto al mio vocabolario e assente nella mia testolina, perciò ricordo con affetto i viaggi in treno fino a Pisa, dove si svolgeva il corso, e con ancora più affetto la mia classe dove tutti erano, oltre che simpatici e disponibili, bravissimi e pluripreparati (credo pure di alcuni prof che ci facevano lezione. Ma niente polemica).

2) Ho pubblicato il mio libro! Tratto dalla tesi di dottorato (vedi). E siccome in verità ho scritto questo post solo per farmi un po' di pubblicità (ci capitasse qualcuno per caso...) e anche per fare un po' la ganzetta intellettuale vi allego foto della copertina e vi ricopio la quarta (sempre di copertina). Il libro é su Platone ovviamente. Il mio mentore. Et voilà!




Nomos e Polis fra l'Antigone e il Critone. Momenti del tragico nel mondo antico.
Di Maddalena Mancini

Nomos, la legge, e Polis, la città, sono i due poli intorno ai quali si snodano le riflessioni di due opere dell'Atene classica : l'Antigone sofoclea e il Critone platonico. L'una, la tragedia, e l'altra, il dialogo filosofico, presentano entrambe un personaggio impegnato a dare la sua risposta di fronte al problema dell'autorità della legge e della libertà dell'individuo.
L'autrice, rileggendo le interpretazioni avanzate su queste due opere, e attraverso un percorso assieme storico e filosofico, affronta i nodi teorici e concettuali che la tragedia e il dialogo propongono: il complesso rapporto fra individuo e legge, la nascita della coscienza morale, l'universalità dei diritti umani, la ricerca filosofica come fondamento della speranza degli uomini in un futuro migliore, la consapevolezza della tragicità dell'esistenza.


Un sicuro best seller direi. Insomma, se proprio vi venisse voglia di darci un'occhiata...

martedì 7 ottobre 2014

A Coty con amore

Ho deciso di tornare. Non è stata una decisione improvvisa, l'ho maturata lentamente, in questi giorni, mentre la Cò (o Coty Coty come si chiama lei) fa il riposino pomeridiano. Perché sì, é nata, ad agosto 2013, e perciò ha pure 13 mesi. E sì, è una bimba, ma io questo l'avevo sempre saputo. E sì, è stupenda stupenda stupenda, e potrei continuare all'infinito a scrivere questo aggettivo. Ma proverò a descrivervela. La Cò è bionda e spelacchiata per lo più, con gli occhi misteriosamente grigio-verdi ereditati dai nonni. Il taglio degli occhi e la bocca sono uguali ai miei e quando ci vedono insieme dicono tutti: quanto ti somiglia!, ma appena vedono il papà tutti cambiano idea e dicono che è identica a lui. La Cò è gioiosa vitale e luminosa, dolce intelligente e vivace, è curiosa, osserva tutto e nulla le sfugge; fa dei grandi discorsi in una lingua misteriosa che conosce solo lei formata da 'tiammemme' 'giamme giamme' 'bibibi' 'rororo'. La Cò adora disegnare -e non solo sui fogli!!!-, le piace guardare e sfogliare i librini, indicando con la mano gli oggetti di cui vuole sentirsi dire il nome, quando sente la musica balla agitando le gambe appoggiata al divano, saluta con la manina quando fa la passeggiata e tenta approcci - piuttosto maldestri ma si premia l'intenzione - con altri bambini. Alla Cò piace dondolarsi sull'altalena: aggrappata alla corda come le abbiamo insegnato piega la testa al cielo, guarda le nuvole e le foglie, e poi ride sbattendo i piedini. La Cò quando è stanca o vuole essere coccolata si mette il pollicino in bocca: io la prendo in braccio e la stringo a me e lei rimane lì, ricarica le batterie facendomi dei pizzicorini con le unghie, e poi vuole scendere e tornare a giocare. La Cò è anche orgogliosa: vuole fare le cose senza aiuti, e si arrabbia quando la imbocchi e lei ha deciso di mangiare da sola (facendo dei gran disastri) o quando cerchi di distoglierla da un passatempo discutibile come sbatacchiare in terra il telecomando della TV. La Cò fa dei grandi meravigliosi dolcissimi sorrisi quando vede avvicinarsi la mamma o il papà e poi ti prende per mano per farti vedere a cosa stava giocando.
Io non so che mamma sono né che mamma sarò. Sono in ansia per tutti gli errori con i quali costellerò la nostra esistenza e so già che saranno inevitabili. Ma Winnicott diceva che l'importante è essere una madre sufficientemente buona e la sufficienza, va là, alla fine dei conti, spero di strapparla. So però che figlia è lei per me e non posso già che ringraziarla per tutto l'amore che ogni giorno, ogni istante, mi consente di provare; per tutta la meraviglia per il mondo che mi ha fatto riscoprire (la luna e le stelle, gli alberi e le foglie, e perfino i piccioni); per la pienezza della vita che mi si apre dentro non appena la vedo. Perciò, bambina mia, grazie. Ti prometto che farò del mio meglio. Ti prometto che ti darò la mano tutte le volte che avrai bisogno nel cammino della vita. Non sarò diversa da come sono, ma ti insegnerò quello che posso, e ti donerò me stessa ma non perché tu possa essere come me, al contrario, perché tu possa scegliere di essere te.