giovedì 25 ottobre 2012

Io e la Fenomenologia


Niente Platone: sto lavorando al mio libro (oh…oh… surprise!) e per oggi ne ho visto troppo! Ma vorrei comunque dedicare questo post alla filosofia, in particolare alla Fenomenologia, corrente di pensiero che nasce e si sviluppa nel Novecento ad opera soprattutto di un certo signor Edmund Husserl. All’Università preparai l’esame assieme alla mia amica C. : a lei piaceva Husserl, mentre io preferivo Heidegger; sono stata una fessa, aveva ragione lei, Husserl è di gran lunga più simpatico e, oltre a questo, la Fenomenologia – a mio modestissimo avviso –  ha molto da dire anche oggi. Perciò, Edmund, considera queste mie parole come tardive scuse e come un tardivo omaggio.

La Fenomenologia è una teoria e un metodo al tempo stesso. Lo scopo è «ritornare alle cose», ossia non analizzare la realtà con preconcetti e pregiudizi intellettuali, ma soffermarsi davvero su quello che vediamo, su quello che percepiamo, su quello che sentiamo. Sulla vita, nel suo scorrere e nel suo divenire. Ma «ritornare alle cose» – e dunque alla vita – significa indagare il rapporto che esiste fra noi e le cose stesse (cose è inteso in senso lato, nel senso di ciò che ci circonda; fa riferimento agli oggetti, alle persone, alle situazioni, eccetera…), dal momento che niente esisterebbe senza una mente che dà senso a ciò che vede, che sente e che percepisce.
In altri termini, il nostro approccio al mondo è condizionato, secondo Husserl, dai nostri atti mentali. Ovvero, quando conosciamo qualcuno, o apprendiamo qualcosa, il processo è sempre intenzionale. Cosa significa questo? Significa che la nostra mente non è chiusa in se stessa, ma è aperta al mondo, alle cose, alle persone, e che è sempre “direzionata” verso di esse. A seconda delle situazioni, delle persone e delle cose, la mente si rapporta al mondo con atti mentali sempre diversi: percependo, amando, odiando, immaginando, credendo, desiderando, temendo e così via.

Mi piace molto questo concetto. Intanto è bello dire che la nostra mente è aperta agli altri, è come se fosse sempre pronta a dare e a ricevere. E nella filosofia di Husserl si dice con forza e in modo chiaro che sono atti mentali della nostra coscienza ugualmente la percezione, l’immaginazione, l’amore, l’odio, il ricordo, la sensazione, eccetera. È come se si dicesse che ogni conoscenza degli altri e della realtà è tale perché interagiscono elementi cognitivi e emozionali insieme, e nessuno dei due è superiore all’altro, o ha una dignità maggiore dell’altro nel ragionamento e nella comprensione.

Non posso spingermi molto oltre, perché Husserl è un tizio parecchio complicato e non sono in grado di scendere più in profondità. Rischierei di tradire completamente il suo pensiero.  Solo una cosa. Il processo di conoscenza degli atti intenzionali della nostra coscienza è lungo e difficile e complicato e tortuoso, dice Husserl (non so francamente se usi queste parole). Sì, concordo: banalizzando moltissimo, siamo complicati e abbiamo difficoltà a capire noi stessi e il modo in cui ci rapportiamo al mondo. Ma io personalmente sono orgogliosamente fiera di essere complicata. Al tempo stesso, come credo facessi tu, caro Husserl, faccio appello a tutte le mie forze per comprendere i miei atti mentali, per comprendere a cosa cappero sono orientati, e faccio appello sempre a tutte le mie forze per comprendere gli atti mentali degli altri, e al modo in cui guardano al mondo. Perché credo che la conoscenza sia vita, e a questo non voglio davvero mai rinunciare.

2 commenti:

  1. Madda,

    non avevo ragione io, aveva ragione Husserl!!
    E comunque al quel corso ci siamo divertite un sacco. Uno dei miei ricordi più belli legati al periodo universitario. E pensare che dopo quel corso a me venne pure l'idea di laurearmi in Ermeneutica.
    Grazie per aver scritto sulla fenomenologia,
    un bacio
    C.

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  2. Certo, anche per me è stato uno dei momenti piu' belli dell'Università... oh, come siamo nostalgiche! Spero di non aver scritto stupidaggini, mi affido a te per eventuali segnalazioni...

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