venerdì 27 aprile 2012

Cose che mi fanno indignare, cose che mi fanno stare bene



Da qualche anno a questa parte il mondo esterno mi colpisce con molta più intensità di prima. Un sentimento che, negli anni della scuola e dell’Università, non mi aveva mai sfiorato è l’indignazione. Ultimamente invece sono spesso indignata: sono indignata perché mio marito, che è bravissimo (e non lo dico perché è mio marito e perché l’amore mi ha rincoglionito e per tutte queste storie, no, credetemi, sono molto obiettiva in questo genere di giudizi), non riesce a entrare a tempo pieno all’Università. Sono indignata perché la mia amica M., che sarebbe un’ottima giornalista, ha deciso, dopo anni di lavoro precario presso un giornale, di lasciar perdere perché sa che non ne può venire niente. Sono indignata per la mia amica C., che sarebbe molto brava a organizzare eventi e che l’ha fatto per anni, fino al pensionamento del suo responsabile, ma, essendo a progetto, con lui ha finito anche lei e ora si barcamena tra un lavoretto e l’altro. Sono indignata per la mia amica D., che è una storica con dottorato di ricerca e due pubblicazioni, e lavora come guida in un posto in cui non si sente soddisfatta. Sono indignata per la mia amica R. che è una bravissima editor, formata, preparata e molto precisa, ma che si è tra le altre cose dovuta improvvisare esperta di bricolage e di ricette per scrivere due libretti e prendere due soldi. E potrei continuare. Continuare e continuare. Chiaro che l’indignazione cresce vedendo poi delle palesi ingiustizie nel mondo del lavoro, della politica e della ricerca su cui taccio altrimenti per l’incazzatura mi si sballano i valori del sangue.

 Nessuno di noi (fra me e miei amici) è sfigato, perché ci siamo tutti laureati prima dei 28 anni (anzi, qualcuno di noi c’aveva pure il dottorato a quell’età). Nessuno di noi è noioso, perché se c’è una cosa che è vera è che abbiamo fatto ogni sorta di lavoro (intellettuali, manuali, culturali, sociali, oplà, quello che volete, basta chiedere!). Però un po’ di sfiga ce la sentiamo addosso lo stesso. E, in quanto alla noia, bé, diciamo così, siamo talmente abituati alla mancanza di noia che ormai conviviamo con una certa facilità con tutto quello che la mancanza di noia porta con sé (fasi di depressione, crisi d’ansia, insicurezze esistenziali, eccetera).  Nonostante tutta questa indignazione, nonostante tutto questo patimento, nonostante tutta questa indefinibile incertezza, non è che noi siamo lì a lamentarci e a lasciarci andare. Semplicemente, continuiamo a fare quello che siamo capaci di fare: impegnarci. E qualche soddisfazione, impegnandoti, ce l’hai sempre (non economica, per carità, economica non sia mai, soddisfazione spirituale, intendo). Sbattiamo contro muri. Ci rialziamo. Riproviamo. Convinti che il merito un giorno sarà premiato, perché è questo che ci hanno sempre insegnato. E non ci manca l’ironia, perché sappiamo anche ridere, prendere queste situazioni con leggerezza, raccontarcele con una certa dovizia di comici particolari. E sappiamo anche essere felici, a volte, a intermittenti momenti, perché, in fondo in fondo, ci basta poco: una gratificazione, un complimento, o anche solo una parola comprensiva di un amico, o un amore, o una lieta sorpresa.

Per quanto riguarda le mie vicende lavorative, non provo propriamente indignazione. Magari ve le racconterò nei prossimi post per farvi un po’ divertire. In ogni caso, penso sempre che ho cercato di fare quello che so fare e quello che mi piace fare, e, tutto sommato, lottando, incassando, non demordendo, ce l’ho sempre fatta. È questo che comunque mi fa vedere le cose in modo positivo. Con speranza, va là! 

Il colpirmi del mondo esterno affonda le radici in qualcosa di più profondo e più ampio che non so spiegare. Ci sono cose capaci di inabissarmi come un tornado: soffro se vedo una persona anziana sola su una panchina, non riesco a sostenere la visione di Report e soprattutto di Presa Diretta per più di trenta minuti (non necessariamente consecutivi), temo le malattie, potrei commuovermi per un libro o un film (non dev'essere neppure bellissimo, basta che tocchi le corde giuste), mi segna un abbandono, una lontananza, ma anche solo una mancanza di attenzioni. 
D’altra parte, la forza, che ha l’universo esterno nel buttarmi a terra, è la stessa che ha nel tirarmi su. E così ci sono tante cose che mi fanno, serenamente, dolcemente e profondamente stare bene: mio marito che si inventa un balletto per farmi divertire, un tè o un pranzo con un amico importante,  delle  attenzioni o una sorpresa che non aspettavo, una telefonata o una bella serata di confidenze con alcune amiche. Sto bene quando ho vissuto qualcosa di bello con qualcuno, quando incontro una persona gentile, quando vedo un bambino che mi sorride, quando sono utile per gli altri, quando qualcuno ha bisogno di me  e me lo chiede, e, anche, perché no, quando ad esempio a Milano vince Pisapia e questo fa improvvisamente soffiare un vento nuovo, fatto di speranza e di rinnovamento. Anche se chissà se poi questo è così (sono dovuta tornare indietro quasi di un anno per trovare un evento politico vagamente piacevole!). 

E, come potete vedere, sono molte più le cose che mi fanno stare bene di quelle che mi fanno stare male. Dedico questo post a tutte le persone che mi fanno stare bene e sono molte. Grazie. 


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