venerdì 20 aprile 2012

Baccelli, pecorino e un risotto all'arancia speciale


Alcune persone, leggendo il blog, mi hanno chiesto: «Ma non ci scrivi qualche ricetta? In genere in tutti i blog femminili un po’ di spazio è dedicato alla cucina». E io ho deciso che, essendo una Femmina (notare la maiuscola) e sentendomi proprio una Femmina doc (nel senso che credo – e temo – di rappresentare il perfetto cliché femminile, ma questo argomento meriterebbe un approfondimento tutto suo, per cui lo affronterò in un altro futuro post), accontenterò chi me lo ha chiesto e racconterò cosa ho cucinato l’altro giorno a pranzo.
Mio marito non ama i baccelli. Sì, lo so che per un fiorentino è quasi un oltraggio e che baccelli e pecorino è un’accoppiata direi quasi commuovente, ma che volete, è del nord (loro i baccelli manco li chiamano così, li chiamano fave e li fanno cotti!), fa del suo meglio per integrarsi, ma rimane un uomo del nord, e d’altra parte un po’ di sano nord in casa fa anche bene.
Comunque, ho deciso di preparargli gli spaghetti con baccelli, pomodorini e pecorino. Ricetta molto semplice: ho fatto un soffritto di cipolle (niente peperoncino perché soffro di cistite percui è meglio se lo evito, ma a voi lo consiglio), a cui ho aggiunto i baccelli sgusciati che ho cotto con un po’ d’acqua per più di 10 minuti a fuoco basso (in genere se ho tempo cucino sempre a fuoco basso, la nonna faceva così; ma questo per dirvi che se avete poco tempo a fuoco alto secondo me bastano 5-6 minuti). Poi ho aggiunto i pomodorini che ho fatto andare per altri 5 minuti circa. Infine, ho saltato nel sughetto la pasta, nel frattempo cotta in abbondante acqua salata e scolata, e il pecorino tagliato a quadratini. Così l’uomo del nord i baccelli se li è mangiati.

Prima di andare a convivere cucinare non mi era mai piaciuto. E in tutta onestà non lo sapevo neanche fare. Non so perché, dal momento che mia nonna era una bravissima cuoca e pure mia mamma lo è. Mia nonna da buona pugliese trapiantata a Firenze ha sempre preparato piatti della sua terra: orecchiette, involtini di melanzana e carciofi arrostiti ripieni sono stati i suoi cavalli di battaglia; per quanto riguarda mia mamma, ha saputo unire alle sue origini pugliesi alcuni tratti della cucina fiorentina e potrebbe con facilità spaziare da un sugo con le cime di rapa a uno di cinghiale, da una gustosa parmigiana al coniglio ripieno.
Diciamo che io ho deliberatamente lasciato la cucina alle altre due donne di casa. Forse temevo di non essere all’altezza. Forse, dato che non sopporto di fare male le cose, non avevo voglia di scoprire che non ero in grado. Forse, dato che odio chiedere: «Potresti insegnarmi come si fa questo?», aspettavo di impararlo da sola, testona come sono. O forse ero solo pigra. Chissà. Se ora a me piace molto cucinare lo devo a mio marito. E sono felice che lui mi abbia fatto scoprire questo lato di me, che per altro mi rende vicina a mia nonna e a mia mamma.
Ricordo che la prima volta che andai a casa di F. in tempi non sospetti mi conquistò con alcune sue fotografie di New York che aveva attaccate alla parete. C’era un’attenzione ai dettagli e agli sguardi sottile e precisa, sensibile e studiata, “angolata” e luminosa. Ma la seconda volta che andai da lui (e questa volta in tempi più che sospetti) mi conquistò con uno squisito risotto all’arancia. F. è molto bravo a cucinare, ma non è questo il punto. Il punto è che lui per la prima volta mi ha mostrato con un gesto semplice ma inequivocabile che la cucina può essere un atto d’amore. Certo, è un’ovvietà che ho sempre saputo, ma a cui non avevo mai realmente pensato.

E perciò ecco perché adesso adoro cucinare. Mi piace pensare sia un modo per occuparsi degli altri. Può essere una persona a cui voglio bene che viene a pranzo o a cena, o un gruppo di amici, o  mio marito che mi chiede: «Cosa si mangia oggi?», ma, in tutti i casi, in quello che farai, in quello che preparerai, non c’è solo l’oggetto cibo in sé, ma c’è il tempo che hai investito, l’attenzione che ci hai messo, il sentimento che hai maturato; c’è la scelta (preparo questo o quest’altro? Cosa è meglio per lui/lei?), c’è il pensiero, c’è l’affetto. Se si vuole, la cucina è a suo modo un linguaggio, che sa chiedere e dare, che sa dimostrare e dichiarare, che sa condividere e regalare.

Mio marito sta preparando adesso i bocconcini di pollo con i broccoli. Vado in cucina a condividere. Oppure aspetto, e questa cena me la faccio regalare.

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