domenica 26 agosto 2012

Un altro post sull'amore...


Ancora Platone e ancora amore. Sì, perché credo che lo scopo della filosofia sia la ricerca del senso della vita e qual è il senso della vita se non l’amore? Platone lo sapeva, ed è per questo che di amore per la vita e per la conoscenza e per gli uomini e per il mondo creato sono pieni tutti i suoi dialoghi. Non solo, i suoi due scritti letterariamente più belli, il Fedro e il Simposio, sono interamente dedicati al tema dell’amore. 

Il giovane Fedro, protagonista del dialogo omonimo, conversa amabilmente con Socrate, riferendogli un discorso di Lisia, nel quale l’oratore (cioè Lisia) tratta l’amore come capacità di conquistare, come un piacevole intrattenimento, anzi consiglia di non farsi sopraffare dal sentimento per poter continuare con più facilità nell’arte della seduzione. Il discorso di Lisia, concede Socrate, è abile e affascinante, condotto con indiscussa maestria retorica, ma non è in grado di svelarci nulla sull’amore. E così dicendo, conduce il giovane Fedro fuori dalla città, in un paesaggio ameno, alberato e attraversato da un fiume. Non si tratta di una decisione calcolata, ma di un impulso e di un impulso che potremmo ritenere simbolico: come Fedro e Socrate si allontanano dalle strade della città note e più volte percorse, e si addentrano in luoghi che neanche ricordano («Non passiamo di qui» dice Socrate «ma due o tre stadi più avanti dov’è il santuario», «Ah sì» risponde Fedro «Non ci avevo mai fatto attenzione»), così amore altro non è che un impulso ad andare oltre, a tendere verso qualcosa di sconosciuto e inesplorato. Per questo Platone nel Fedro lo definisce una divina mania. Se ci pensiamo bene è un’espressione forte: mania in greco significa pazzia, furore, ma anche folle passione. Folle passione, dunque, però divina: perché è solo con amore che superiamo noi stessi e i nostri confini, che siamo al tempo stesso ancora più uomini e un po’ più vicini a dio. 

E ora spostiamoci al Simposio. Nel racconto di Socrate Eros, ovvero amore, è figlio di Poros e Penia. Poros è espediente, mezzo, risorsa, Penia è mancanza, indigenza, bisogno. Cosa vuol dire? Amore nasce da una mancanza, una mancanza che abbiamo bisogno di colmare. Nasce dalla nostra vulnerabilità, dalla nostra debolezza, forse proprio dal nostro essere umanamente imperfetti. Ma è questa imperfezione, questa debolezza, questa vulnerabilità che paradossalmente ci rendono migliori. Perché la mancanza ci spinge, con ogni mezzo che abbiamo, a cercare. Cercare cosa? La pienezza, penso. Non vogliamo sentirci vuoti e soli, ma vivi. 
Amore è dunque un’inesausta ricerca di conoscenza: dell’altro, del mondo, delle cose, delle emozioni, di sé. Amore ci rende confusi e forti al tempo stesso, smarriti ma pieni di speranza; è quel desiderio di completezza che aspiriamo a raggiungere (e che forse non raggiungeremo mai del tutto, ma che non dobbiamo mai smettere di cercare). Ma è in questa ricerca che sta la vita: perché, solo sforzandosi di conoscere e capire, soltanto mettendosi in gioco e amando, possiamo vivere.

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