domenica 12 agosto 2012

In Treatment

Questa è un’estate strana per me: ci sarebbero tante cose da dire e da raccontare ma ho deciso di farlo alla fine del mese. Oggi comunque sono al mare nelle Marche dalla mamma e dal papà, e fare la figlia nella mia cameretta adolescenziale (due mini quadretti degli Impressionisti sopra il letto, una radiolina del Mulino Bianco risalente agli anni Ottanta, e un poster di Ligabue datato 2002… e qui mi fermo per il vostro benessere!) è davvero rassicurante. Mi faccio un po’ coccolare e mi riapproprio per qualche giorno della mia identità di figlia e della mia vita da figlia: a volte ci vuole.

Comunque, questo post è per dirvi che finalmente è tornata in TV la mia serie preferita, In Treatment. In realtà viene trasmessa alle comodissime ore 23.45, un orario proprio adatto a me che notoriamente indosso il pigiamino alle 21 e alle 22.30 potrei già ronfare. Ma, si sa, è proprio una virtù dei palinsesti televisivi rendere facile a guardarsi ciò che è inguardabile e difficile – finanche impossibile – a guardarsi ciò che è bello, intelligente, di ottima qualità.

Io sono una fan di alcune serie tv americane. La femmina doc che è in me si è esaltata con le Casalinghe disperate e con Sex and the City, ho trovato splendidamente costruito e ben congegnato il plot del Dottor House, nel quale per altro è stato inventato uno dei personaggi più straordinari che la TV abbia regalato, e ho amato Lost, con il suo mix di mistero e di metafisica. Ora attendo con ansia il ritorno di Mad men. E nel frattempo mi godo, in quest’estate strana, la mia numero uno: In Treatment, appunto.

Di cosa parla In Treatment? Paul Weston (ovvero un carismatico Gabriel Byrne) è uno psicologo e la sua vita è scandita dagli appuntamenti con i suoi pazienti. Noi pubblico incontriamo i suoi pazienti con lui: in questa serie tutti i lunedì viviamo il dramma di Sunil, mitico signore bengalese costretto a trasferirsi in America dopo la morte dell’amata moglie e a subire una convivenza forzata e difficile con il figlio e l’americanissima nuora; i martedì conosciamo Frances, famosa ex-attrice di teatro tornata in età avanzata a solcare il palcoscenico ma con inspiegabili perdite di memoria; i mercoledì entriamo nella testa di Jesse, giovanissimo omosessuale problematico, con un rapporto complesso con i genitori adottivi; i giovedì è Paul ad andare in analisi perché, come ogni psicologo che si rispetti, è troppo profondo e sensibile per non logorarsi di domande e per – di conseguenza – non incasinarsi la vita.
In Treatment è questo. Non c’è niente di più. Sono 25 minuti di seduta, in una stanza chiusa in cui la macchina da presa indugia sui volti dei pazienti, spesso confusi, sempre teneramente fragili, che parlano seduti sul divano (pacato, composto, ma lacerato da un dolore profondo Sunil; inquieta, paradossalmente insicura, volutamente sopra le righe Frances; acuto e brillante, instabile e sboccato Jesse) e sul volto di Paul Weston, fascinosissimo grazie a quelle rughe attorno agli occhi, calmo, attento e rassicurante, autorevole e accondiscendente quanto basta, che chiede: «Come ti senti?», che coglie ogni sfumatura, e che riesce a conquistare la fiducia – o l’adorazione – dei suoi pazienti.

C’è una stanza. Ci sono delle persone. E c’è la parola. Quella parola profonda, capace di scavare nell’anima, di descrivere emozioni, di permettere la conoscenza: quella parola che vale la pena sentire. Non credo serva molto di più per realizzare un buon prodotto televisivo. Trovo bellissimi e commuoventi quei rari momenti in cui le persone parlano veramente di sé e questo è In Treatment. Ve lo consiglio.
Non aspettatevi eventi esterni, non vi saranno. Ma questo non vuol dire che non vi siano colpi di scena: ogni nuova consapevolezza di sé – che i pazienti di Paul vivono e sperimentano nella sua stanza – è in fondo e sempre una spaesante rivelazione, capace di gettare nuova luce su loro stessi e sul mondo. Per i pazienti è un colpo di scena. E, credetemi, lo è anche per noi.  

1 commento:

  1. Cara Madda, io ho trovato una nuova serie che mi sta piacendo: Girls. Un gruppo di amiche a New York, grandi speranze, pochi soldi e un sacco di questioni attuali affrontate.

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