In questi giorni ho recuperato la visione di alcuni film che non ero riuscita a vedere quest’anno. E vi scrivo perché vorrei consigliarvene due: il primo è un film d’amore veramente triste e tristemente vero (Blue Valentine), e il secondo è un film apparentemente scandaloso e di – secondo me – straordinaria intelligenza (Shame).
Blue Valentine racconta della fine di un amore. Ryan Goslin e Michelle Williams si sono amati tanto, hanno costruito una famiglia felice, ma ormai qualcosa se n’è andato, e in quella che sarà la loro ultima notte insieme (in un motel, per ritrovare una passione che non riescono a ritrovare), attraverso dei flash back, rivivono l’inizio della loro storia. E così, con un montaggio alternato, vediamo com’erano queste due persone (solare lui, complessa lei, a loro modo generosi entrambi) e come sono oggi (disperatamente dolce lui, ostile e trattenuta lei), vediamo la nascita di una tenerezza calda e di un amore sincero e insieme una fine lenta ma inesorabile, quasi al di sopra delle loro forze. Lui in realtà cerca in ogni modo una riconciliazione, lei è più fredda, salvo poi pentirsene, riavvicinarsi ma poi allontanarsi ancora. E mentre nel ricordo si scambiano le luminose promesse di un amore eterno, nella realtà si stanno lasciando. «Mi dispiace», dice lei. «Farò tutto quello che vuoi» dice lui. «Mi dispiace», ripete ancora lei. «Avevi promesso», dice ancora lui.
I due attori, Ryan Gosling e Michelle Williams, sono straordinari. Lui (non so se l’avevate visto nell’altrettanto meraviglioso Drive) restituisce al suo personaggio al tempo stesso una feroce disperazione e una grande bontà d’animo, lei (la Jen di Dawson’s Creek: tra parentesi, non ho mai capito come fosse possibile che ad ed essere contesa fra i due protagonisti maschili della serie fosse quella saputella e lagnosa Joey e non lei, sveglia, complicata, altruista e al contrario sfortunatissima in amore) regala un’interpretazione sempre tirata per rendere più credibile l’esasperazione del momento finale. Giocato sulla personalità dei due personaggi, il film ci dice una cosa tanto triste e tanto vera. L’amore può finire. Si potevano intuire i problemi che avrebbero potuto avere queste due persone? Non lo so – qualche cosa del film lo lascia intendere, seppure molto velatamente – ma non conta: è indubbio che si amavano. È indubbio che le loro promesse, nel momento in cui se le sono scambiate, fossero sincere. Erano felici insieme e il bisogno l’uno dell’altro era più forte di qualunque altra cosa. E allora, dov’è andato quest’amore? Perché non hanno provato a ritrovarlo o a farlo risorgere? Il fatto è che ci hanno provato, ma non ci sono riusciti. A volte succede così, si prova qualcosa di fortissimo, e poi questo sentimento se ne va.
Di Shame molti avranno sentito parlare. Il protagonista, un fichissimo Michael Fassbender, è un malato di sesso. La sua giornata è perfettamente organizzata tra il lavoro e una serie di appuntamenti sessuali di ogni tipo (potremmo dire che Fassbender non è un pervertito casuale ma un tipo molto meticoloso e preciso!), sulla cui descrizione vi risparmio (anche se vorrei rassicurarvi sul fatto che non ci sono scene poi raccapriccianti né compiaciute, solo nella parte finale una decina di minuti che si potrebbero definire espliciti). Comunque, a un certo punto è costretto a sorbettarsi l’arrivo della sorella, ragazza fragile, disperata, a rischio suicidio, con storie d’amore improbabili e molto infelici, che gli si mette in casa in pianta stabile. La sorella, che è di fatto proprio la sua immagini speculare (tanto è cinico e trattenuto lei, tanto è emotiva e pazza lei), lo costringe a confrontarsi con se stesso e con la propria “vergogna”. D’altra parte, sono la risposta opposta a uno stesso misterioso trauma che li rende figli della stessa famiglia e vittime della stessa situazione: trauma che intelligentemente non sarà mai svelato ma che rimane sullo sfondo per tutto il film.
Shame, nonostante tutto, riesce a far trapelare un messaggio positivo. Fassbender fa simpatia con questa sua perversione e con i suoi tentativi di essere diverso. Viene fuori nella sua umanità, quando piange (in due momenti del film: il primo è un pianto silenzioso e nascosto, il secondo potente e liberatorio) e anche nel suo apparentemente impossibile (eppure c’è) rigore morale (nello straordinario dialogo con la sorella, attori bravissimi entrambi). E poi c’è il finale, sul quale non vorrei svelare nulla, ma che, forse, potrebbe regalare a questo personaggio una sorta di seconda possibilità: di perdonarsi?, di essere diverso?, di vivere magari senza colpa questa sua perversione?, chi lo sa. Non so se si può dire che è un film romantico (questo è troppo, perfino per me!!!) ma certo non è un film cattivo. E questo, si sa, fa sempre stare meglio.
Se poi non vi ho convinti… bé, appello alle femmine doc: direi che Fassbender tutto dettagliatamente nudo rimane comunque un’ottima ragione per vedere questo film.
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