Sono in vacanza con F. per una settimana, tre giorni al mare nelle Marche e tre in montagna in Abruzzo. Se vi spiego come mai questa vacanza vi fate una risata e non vedo perché risparmiarvela, perciò ecco qua… mio marito insegna in alcune università sparse per l’Italia (io ho iniziato a raccontarvi le mie avventure lavorative, che non sono niente male, ma le sue sarebbero ancora meglio, solo che mi ha chiesto di non raccontarle a giro per il web). Ora è in fase di esame, così l’ho accompagnato e, per non pensare al fatto che uno va a fare esami senza neanche prenderci lo stipendio (solo le ore di lezione sono pagate, tutto il resto del lavoro si fa gratis) – con ovviamente (manco a dirlo) spostamenti a suo completo (e poco economico) carico –, ci siamo convinti che queste sono vacanze e uno, tanto che c’è, tanto che passa da quelle parti, va là, ci butta lì due esami. È una questione di psicologia, la mente si inventerebbe qualunque cosa per stare meglio, e la nostra da questo punto di vista è molto ingegnosa.
Dopo questo preambolo un tantino polemico, veniamo dunque alla settimana di vacanza. Fortuna vuole che mio papà sia marchigiano e che abbiamo una casa di famiglia al mare nelle Marche. È il luogo dove vado da quando sono nata, è legato alla mia esistenza allo stesso modo di Firenze. Se arrivo con il treno comincio ad emozionarmi quando la ferrovia costeggia il mare, rendendolo molto vicino e facendomi provare una calda sensazione di benessere, se arrivo con la macchina comincio ad emozionarmi quando il paesaggio cambia: le colline marchigiane hanno un profilo dolce e rassicurante, e degradano lentamente verso il mare. Dopo l’emozione di arrivo, appena entro in casa o raggiungo la spiaggia, ecco che i miei sentimenti cambiano: provo una strana sensazione di commozione mista ad inquietudine almeno per le successive 24 ore: sapete quando un luogo è così legato alla vostra esistenza che è come se vi avesse rubato una parte della vostra identità? Io sento questo, e tutte le volte che torno è una lotta fra la mia identità attuale e quella che è rimasta lì. Eraclito diceva che «non ci si bagna mai nello stesso fiume». Ecco, è così: non mi bagno mai nello stesso mare, perché, pur se sempre io, sono diversa, e sento che ogni anno è diverso dall’altro. E questo è sempre, tutte le volte, per me, completamente scioccante (da ragazzina non ero così, è il tempo che mi ha reso vulnerabile. Ma, non so, sono contenta di essere vulnerabile, le cose assumono sempre un grandissimo valore in questo modo). Comunque, tranquilli: dopo una piadina, qualche bagno, qualche passeggiata in acqua e molte chiacchiere con la mia amica E., lo shock mi passa e torno più o meno normale. Tanto normale da potervi citare le due cose più belle di questi tre giorni marini: una cenetta molto carina e romantica con F. in giardino e un bagno in solitudine alle 7.30 di sera. Non sarà lo stesso mare, ma sempre mare è.
E ora siamo in Abruzzo, di ritorno da una super camminata in montagna. Camminata avvenuta di preciso nell’Altipiano delle Rocche, a sud dell’Aquila, alle falde del monte Sirente (non è molto conosciuto, ma per ricordarselo basta pensare a Silente di Harry Potter!) . E oggi sono felicissima. Dunque, devo precisare che i miei rapporti con la montagna sono inesistenti. Prima di questa volta sono stata in montagna a sciare in terza media all’Abetone (soprassediamo, la neve mi aveva elettrizzato tutti i capelli che portavo indietro con una fascetta, e, avendo io i capelli ricci, non vi dico che bellezza), e ho fatto una volta una camminata in montagna con la mia cognata d’inverno tra la neve (vi dico solo che avevo gli stivali con il tacco – ebbene sì – e rischiavo di scivolare a ogni passo. A un certo punto ci siamo imbattute in un gruppo di gente che scendeva dalla funivia con le tute da sci e con il mio abbigliamento mi sono sentita completamente disadattata). Perciò temevo moltissimo questa gita e sono stata tutto ieri a chiedere a F. le cose più strane, che ora vi risparmierei. Inoltre chi mi conosce sa che sono abbastanza sportiva ma totalmente impedita, e quindi non era del tutto escluso che potessi precipitare in un burrone (e questo, secondo me, lo temeva anche F.). Bene, la passeggiata è stata al di sopra delle mie più rosee prospettive. Ne abbiamo fatte due. La prima partendo da Rocca di Cambio (con i suoi 1400 metri è il comune più alto dell’Appennino): abbiamo attraversato una pineta (piena di mosche!) e una chiesetta fino a raggiungere una croce di legno che sovrastava il paesino (molto carino, anche se – ahimè – con tangibili segni del terremoto) e il sottostante verdissimo altipiano. Poi il cammino diventava troppo impervio e abbiamo desistito. La seconda di un paio d’ore ma semplice e direi assolutamente meritevole. La consiglio a tutti. Abbiamo raggiunto la frazione di Rovere, un po’ più bassa di Rocca di Cambio, e da lì, partendo da un fontanile dove ho fatto due chiacchiere con una bimba di Roma che andava a cavallo, siamo saliti, attraverso piste, tratti di mulattiera e un ombreggiato bosco, sino a Fonte Anatella. Fonte Anatella è un largo e assolato spiazzo (appena posso carico un paio di foto paesaggistiche) con una casetta e dei tavolini in legno dove abbiamo pranzato e preso il sole, ovviamente una fonte o forse meglio dire un abbeveratoio con acqua freschissima (mi si sono ghiacciati i piedi a tenerli dentro), e una mandria di mucche poco lontane. Ho scritto una specie di temino da bambina di 10 anni, ma forse così è l’unico modo per restituirvi il mio entusiasmo. E concluderei il temino proprio come una bambina da 10 anni: è stato bellissimo, davvero. Rigenerante.
Un unico enigma. Dei tipi sono arrivati con una jeep da un’altra strada, portando con loro dei cartoni di pizza e per giunta dei supplì fritti, e mi sono interrogata se, per caso, girato l’angolo, ad interrompere quel paesaggio da Heidi, non ci fosse – che so – un centro commerciale. Ma direi che rimango nell’enigma.
Questa è una parte di sterpaglie e di bosco che abbiamo attraversato partendo da Rovere
Questo è lo spiazzo che si è aperto alla fine del bosco
(dal quel sentiero bianco è venuta la misteriosa jeep con i misteriosi cartoni di pizza...)
Fonte Anatella (l'abbeveratoio è dietro la casina storta)
Io che faccio la stupidina nel bosco
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