domenica 11 novembre 2012

Da Socrate a Platone. Le contraddizioni di Atene e lo stato ideale


Socrate era un buffo ometto, secondo me. Bruttino, si aggirava per la città a interrogare la gente e a distruggere con l’arma dell’ironia le convinzioni altrui. Platone invece per me era belloccio (cioè, sempre per quella storia delle spalle, cioè, il fatto che il nome pare alludere agli ampi pettorali). Però, sebbene si metta sempre in discussione, non sembra aver ereditato l’ironia – e l’autoironia – del maestro.
Ma che rapporto esiste davvero fra Socrate e Platone? Nessuno può rispondere a questa domanda, per la semplice ragione che Socrate non ha mai scritto niente e quasi tutto quello che sappiamo di lui lo dobbiamo a Platone. Ma, dato che il protagonista di tutti i dialoghi di Platone si chiama Socrate, dove finisce davvero Socrate e dove comincia davvero Platone? Quale è, in altri termini, il Socrate storico e quale è il personaggio creato da Platone?

Chi ha studiato filosofia sa che vi sono dei dialoghi considerati socratici nei quali perlopiù si racconta la vita e la speculazione del maestro; si sa anche che l’uso del dialogo era il modo con cui Socrate si approcciava alle persone: faceva domande, cercava risposte, metteva a nudo la banalità delle risposte ricevute e spingeva l’interlocutore a pensare davvero, a non rimanere fermo a un sapere precostituito, a indagare, a partorire un sapere nuovo che può provenire solo dal confronto con l’altro e dall’analisi di se stesso. Al contrario, si sa che la dottrina delle idee è il punto di inizio e di arrivo della filosofia platonica.

Tutto questo è vero. Ma è poco. Il rapporto fra Socrate e Platone è qualcosa di affascinante e complesso. Socrate è il maestro. Platone è il discepolo che ha amato più di ogni altro il suo insegnamento e che, forse proprio per questo, ha guardato in se stesso ed è stato in grado di costruire la sua filosofia e il suo pensiero.
Socrate è vissuto davvero per 70 anni in una città (Atene) stimolante e viva, ma attraversata da contraddizioni e inquietudini. Socrate ha visto l’apogeo di Pericle e l’affermarsi della democrazia, ha visto la nascita dell’impero navale ateniese, ma ha visto anche l’amore per la libertà e l’orgoglio per la democrazia trasformarsi in smania per il potere, in relativismo morale, in violenza giustificata dal mito del più forte. Ha visto la potenza di Atene sgretolarsi durante la Guerra del Peloponneso contro Sparta, ha visto Pericle morire durante la peste, ha visto l’impero navale sfaldarsi, ha visto l’insediarsi di un governo tirannico voluto dalla rivale storica Sparta.
Socrate amava Atene più di ogni altra cosa. Lo dice chiaramente. Anzi, è Platone che glielo fa dire chiaramente. Non importa se sarà il tribunale ateniese a condannarlo a morte, Socrate ugualmente deve tutto ad Atene. Solo ad Atene in quel preciso momento storico si poteva essere filosofi. Solo ad Atene un uomo come Socrate, che non apparteneva a una famiglia facoltosa o all’aristocrazia, poteva emergere. Solo ad Atene aveva senso discutere sulle leggi, sentirsi cittadino, confrontarsi con gli altri. Atene ha dato tutto a Socrate. Socrate lo sa, e accetta di buon grado e con la sua consueta ironia la condanna («Altro che infliggermi una multa ragazzi, la città dovrebbe pagarmi un vitalizio per quello che ho fatto qui». Questa battuta qualcuno non la prende bene, e infatti la sentenza sarà modificata da pagare un’ammenda a subire la pena di morte).
 Il ragionamento di Socrate è semplice: io ho dato tutto ad Atene, Atene ha dato tutto a me, fino alla fine io ho cercato di mantenere vivo questo legame, ma se non è più possibile, intendo bere la cicuta e morire qui, qui dove sono sempre vissuto, qui dove c’è tutto quello che ho amato. La fine del sodalizio fra Atene e Socrate, in altri termini, non deve spezzarsi con la morte; al contrario, è offrendosi alla morte che Socrate lo suggella.

Platone no. Platone ha conosciuto solo per sentito dire l’apogeo di Atene, il suo periodo più prospero e d’oro. Platone ha visto solo la violenza, ha conosciuto la sconfitta, ha visto una democrazia populista e un po’ corrotta. E in questo clima non idilliaco ha conosciuto e seguito Socrate. Socrate, l’uomo più giusto dei suoi tempi, dice spesso Platone. Socrate si sentiva perfettamente integrato ad Atene. Platone no, Platone non poteva perdonare ad Atene di aver condannato a morte Socrate. E se Socrate beve tutto tranquillo la cicuta pacificato con il mondo e con gli altri (E a chi gli propone di fuggire dal carcere risponde tra le altre cose «Ma dove dovrei andare? Sono sempre stato qui, e c’ho pure settant’anni, sono vecchio!!»), Platone non riesce proprio ad accettare questo smacco che gli provoca così tanto dolore.

Secondo me, è qui che Socrate e Platone si dividono. Socrate era il cittadino di Atene, né più né meno. Platone non poteva esserlo, e con tutte le sue forze ha cercato di creare con il pensiero uno stato perfetto, lo stato che non avrebbe mai mandato  a morte l’uomo più giusto dei suoi tempi, il maestro. E da qui nasce l’interrogazione sull’idea di giustizia, sull’idea di bene, sull’idea di bello. Platone sapeva che questo stato non esisteva né sarebbe mai esistito, ma doveva crederci. Perché questo doveva essere lo stato ideale a cui tendere, per farne sulla terra uno che non fosse perfetto, ma se non altro migliore di quello attuale.

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