lunedì 24 settembre 2012

Demiurgo, necessità, anima del mondo


Nella creazione del mondo secondo Platone interagiscono tre elementi: le idee, la materia e il demiurgo. Vi è una materia oscura, caotica, irrazionale, da plasmare. E ci sono delle idee eterne, perfette, che rappresentano il modello a cui tendere. In mezzo fra la materia e le idee vi è il demiurgo: è una sorta di Dio che crea il mondo, è vero; ma questa è una visione un po’ semplicistica: la parola in greco non significa affatto divinità, significa artigiano, artefice, artista, ordinatore e solo di conseguenza creatore.
Il demiurgo è una sorta di artigiano, perché sa modellare e forgiare la materia; è artefice, perché da questa capacità nascono le cose e la realtà tutta; ma è anche artista, perché il mondo che nasce dalle sue “mani” e dalla sua intelligenza è bello da vedere; è ordinatore, perché la sua creazione non avviene dal nulla, ma da qualcosa che è informe e caotico e che lui rende preciso e organizzato. Ecco cosa fa il demiurgo platonico: guarda i modelli ideali e, uniformandosi ad essi per quanto è possibile, plasma la caotica materia fino a quel momento senza identità. In altri termini, riduce il caos a cosmo. La differenza? Il caos non ha intelligenza, non tende a niente; il cosmo sì, ha una sua intrinseca finalità, ha una sua intrinseca intelligenza. Scrive Platone una frase bellissima: «Non esiste intelligenza senz’anima». E così è come se il demiurgo avesse donato un’anima al mondo. Per Platone, il suo mondo, che poi è anche il nostro mondo, ha un’anima ed è questo che lo rende bello.

Già, ma il male? Dov’è il male che nel nostro mondo esiste (e non vi è alcun dubbio al riguardo) e in quello di Platone sembra essere escluso? No, attenzione, non è affatto così. La materia che descrive Platone (quella plasmata per creare il cosmo) è irrazionale e caotica, ma non propriamente passiva. La materia fa resistenza alla creazione del mondo. Platone è molto chiaro in questo: il demiurgo riduce dal disordine all’ordine «per quanto è possibile», fabbrica l’universo nel modo migliore «che si possa». Cioè. Non totalmente, ma solo al massimo delle sue possibilità, nei limiti in cui glielo consente la materia.
Non solo. Non è un caso che questa materia venga chiamata da Platone talvolta anche ananke, ovvero necessità. Nella creazione del mondo, perciò, accanto all’intelligenza ordinatrice, vi sarà sempre un quid di necessità; il mondo creato sarà sempre una combinazione di anima intelligente e di necessità. Cosa vuol dire necessità? La necessità è qualcosa che non può non essere, è qualcosa di inevitabile, qualcosa di impossibile da cambiare, è il limite oltre il quale nessuna intelligenza può spingersi.

In altri termini. Platone ha, chiara, la consapevolezza che esista nel nostro mondo sempre qualcosa di intrinsecamente caotico, qualcosa di necessariamente irrazionale e inspiegabile, qualcosa che, nonostante tutti i nostri sforzi, non potrà essere plasmato, non potrà essere modificato. La morte, la malattia, ad esempio. Ma anche il fatto che, in quanto uomini, siamo imperfetti, e qualche stronzatella la faremo sempre e comunque. Però contro questa “malvagia” necessità abbiamo un’arma: l’intelligenza. Abita, per Platone, nell’anima del mondo. Abita dentro di noi. Sebbene non possa tutto, potremmo intanto usarla al massimo delle nostre possibilità.

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